Elon Musk, il nuovo Rasputin della Casa Bianca targata Trump, non è solo il miliardario più chiacchierato del pianeta. Ora è anche l’uomo che potrebbe decidere la politica estera americana con un tweet. Cresciuto in una villa di lusso nella Pretoria degli anni ’80, quando l’apartheid stava mostrando le prime crepe, Musk ha studiato in una scuola d’élite per bianchi e poi in un istituto leggermente più aperto. Non esattamente un’infanzia tra le barricate.
Jonathan Stewart, suo ex compagno alla Pretoria Boys High School, ricorda bene l’atmosfera ovattata in cui vivevano: “Mentre il Paese era in fiamme, noi eravamo beatamente al sicuro nelle nostre verdi e lussuose periferie, conducendo una vita assolutamente normale”. Un microcosmo privilegiato in un Sudafrica che esplodeva tra rivolte e repressioni. Il nome di Musk compare nelle vecchie foto di classe, in mezzo ad altri giovani rampolli della borghesia bianca, come il futuro assassino Oscar Pistorius.
Passano gli anni e il piccolo Elon diventa l’uomo più potente del mondo tecnologico e ora anche il nuovo guru della politica trumpiana. Qualche settimana fa, l’ex ragazzo di Pretoria si è lanciato in una crociata contro le leggi “razziste” del suo Paese natale. Su X, il social che ha trasformato in una succursale della propaganda reazionaria, Musk ha appoggiato la teoria del complotto secondo cui i bianchi in Sudafrica sarebbero “perseguitati” per il colore della pelle. Trump, che di bufale se ne intende, non ha perso l’occasione: ordine esecutivo contro il governo sudafricano, aiuti tagliati e asilo politico offerto agli afrikaner in fuga da un genocidio che non esiste.
L’influenza di Musk su questa decisione è avvolta nel mistero, ma con il suo ruolo nel neonato “Dipartimento dell’efficienza governativa” della Casa Bianca, è difficile pensare che non abbia avuto voce in capitolo. Il tycoon di Tesla e SpaceX si è sempre detto contrario alla riforma agraria sudafricana, che cerca di redistribuire parte delle terre ancora in mano alla minoranza bianca (che possiede oltre il 70% dei terreni agricoli pur essendo solo il 7% della popolazione). Per lui è “furto”, per Trump è l’ennesimo pretesto per allineare la sua amministrazione ai gruppi suprematisti bianchi.
Il tutto accade mentre Musk è in pieno braccio di ferro con il governo di Pretoria per far approvare la sua Starlink. La legge sudafricana impone che il 30% delle imprese straniere sia in mano a società nere, un principio di equità che al multimiliardario suona come un affronto personale. Non è un caso che i suoi attacchi si siano intensificati proprio ora, mentre cerca di aggirare la norma. E Trump, ovviamente, gli dà una mano con il bastone presidenziale.
Sulle radici di questa sua ossessione si possono fare diverse ipotesi. Da giovane, Musk ha vissuto il collasso dell’apartheid senza però davvero farci i conti. Dopo aver trascorso due anni in una scuola di Johannesburg in cui veniva bullizzato dai “jock” locali, fu trasferito alla Pretoria Boys High School, dove venne accolto meglio. “Era un ragazzo normale, senza particolari tratti distintivi”, racconta Gideon Fourie, suo ex compagno di classe.
La Pretoria Boys, nel suo piccolo, era un’istituzione più progressista rispetto agli standard del tempo. Nel 1981 fu la prima scuola pubblica sudafricana ad accettare un alunno nero, grazie a un cavillo legale sfruttato dal preside Malcolm Armstrong, che nel frattempo si incontrava di nascosto con l’ANC in esilio. “Ci faceva riflettere molto sulla società in cui vivevamo”, ricorda Gregary Hassenkamp, attuale preside ed ex compagno del fratello di Musk.
Ma le idee di Elon sembrano aver preso una strada diversa. Nonostante fino al 2020 abbia sostenuto i candidati democratici, ora è il principale alleato del trumpismo più radicale. Il suo avvicinamento alle destre estreme non è un caso isolato: ha flirtato con Alternative für Deutschland in Germania e ha persino mimato un gesto che ricordava il saluto nazista durante l’insediamento di Trump, anche se lui lo nega.
Nel suo passato c’è un altro dettaglio interessante. Suo nonno materno, Joshua Haldeman, negli anni ’30 era a capo di un movimento tecnocratico canadese di chiaro stampo autoritario. Un gruppo che disprezzava la democrazia e auspicava un governo degli “esperti”, un’idea che evidentemente piace anche al nipote, visto il suo disprezzo per le istituzioni elettive. Quando Haldeman si trasferì in Sudafrica, lo fece perché trovava il sistema dell’apartheid di suo gradimento. Coincidenze?
Forse Musk ha sviluppato la sua visione di quel Paese a distanza, senza vivere il percorso che ha portato al compromesso democratico del 1994. O forse, più semplicemente, ha capito che cavalcare la retorica del suprematismo bianco gli conviene. Quel che è certo è che oggi il Sudafrica è un Paese ancora segnato da disuguaglianze abissali. Nonostante le politiche di Black empowerment, la disoccupazione tra i neri è cinque volte superiore rispetto ai bianchi, e il tasso di omicidi è tra i più alti al mondo.
In questo contesto, non stupisce che molti bianchi sudafricani vedano nell’America di Trump un rifugio. A febbraio, centinaia di loro hanno manifestato davanti all’ambasciata Usa a Pretoria con cartelli come “Grazie a Dio per Trump” e “Make South Africa Great Again”. Tra chi guarda al passato con nostalgia c’è anche Errol Musk, padre di Elon, che in un’intervista ha ricordato gli anni dell’apartheid con toni quasi lirici: “Era un bel periodo, non c’era criminalità. Tutti andavano d’accordo, bianchi e neri. Certo, la gente non vuole sentirlo, ma è la verità”.
Errol Musk è una figura controversa almeno quanto il figlio. Ex ingegnere, ex ricco, ex padre modello, ha avuto una relazione con la sua figliastra e ha avuto un figlio con lei. I suoi stessi figli lo hanno accusato di abusi psicologici e fisici. “Sciocchezze”, ribatte lui, negando ogni accusa. Il rapporto con Elon è sempre stato altalenante: rottura nel 2017, riavvicinamento dopo la vittoria di Trump nel 2016, quando il vecchio Errol si fece beccare a elogiare il presidente americano durante una festa di famiglia a Città del Capo. “Le cose sono cambiate con Biden, Elon ha capito che vogliono distruggere l’America”, racconta Errol. “Ora ci scriviamo quasi tutti i giorni, anche se a volte risponde la sua assistente”.
Forse, dietro l’alleanza tra Musk e Trump non c’è solo opportunismo. Forse c’è anche una storia familiare che si ripete, tra padri padroni, uomini forti e un’idea di potere che odora di passato. E di futuro, purtroppo.