Trump sta costruendo la sua utopia americana su un paradosso

Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato l'inizio di un'età dell'oro per la sua nazione, ma c'è un dettaglio che non ha preso in considerazione

Donald Trump ha appena iniziato il suo secondo mandato, e per festeggiare l’evento ha pronunciato davanti al Congresso un discorso lungo e denso di autocelebrazione, degno del suo ego smisurato. Un’ora e quaranta minuti di puro Trump, il più lungo nella storia americana, almeno secondo alcuni osservatori. E non si è risparmiato: ha parlato di tutto, dalla politica estera alla guerra culturale interna, fino a immaginare per gli Stati Uniti un futuro dorato, una sorta di età dell’oro trumpiana. Peccato che, come sempre, il suo progetto si fondi su un paradosso grande quanto il suo ciuffo.

Trump si vanta di essere partito a razzo, e per una volta ha ragione: nei primi giorni del nuovo mandato ha emesso più ordini esecutivi di qualsiasi altro presidente, battendo perfino Franklin Delano Roosevelt e Dwight Eisenhower. Il suo ritorno alla Casa Bianca è stato segnato da una pioggia di direttive che hanno spazzato via l’eredità di Joe Biden e hanno iniziato a ridisegnare gli Stati Uniti a sua immagine e somiglianza. Gli standard dei primi 100 giorni di presidenza? Roba da ridere. Trump ha fatto più di tutti, e in meno tempo.

Ma non è solo una questione di numeri. Il contenuto delle sue mosse iniziali è altrettanto roboante. Ha avviato un disgelo con la Russia, provocando la rottura definitiva tra gli Stati Uniti e l’Europa. E non ha nascosto le sue intenzioni: la NATO è sulla via dello smantellamento. “Finalmente!” avranno pensato in molti, mentre Trump si prepara a spedire l’alleanza atlantica nella pattumiera della storia, accanto al defunto Patto di Varsavia. Nel frattempo, le sue guerre commerciali hanno mandato nel panico i mercati finanziari.

E poi c’è il fronte interno. Un vero e proprio blitzkrieg nella guerra culturale americana: le politiche woke sono state bombardate senza pietà. Niente più fluidità di genere: d’ora in poi, ufficialmente, i sessi sono due. Atleti maschi nelle competizioni femminili? Fine dei giochi. La chirurgia di riassegnazione di genere per i minori? Bandita. Per i conservatori, un sogno che si avvera.

E se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che Trump stia per ridisegnare il mondo a suo piacimento, basti guardare la geopolitica. “Il Golfo del Messico? Praticamente nostro.” Panama? Potrebbe perdere il suo canale. E su Groenlandia e Canada, il presidente è stato chiaro: prima o poi entreranno nell’orbita statunitense, “in un modo o nell’altro.” Trump non è un uomo di mezze misure.

Nel suo discorso, naturalmente, non sono mancate le lodi a sé stesso. Il suo ego è intatto, se non addirittura cresciuto dopo l’attentato di Butler, Pennsylvania. E tra gli osanna, un posto d’onore è stato riservato al suo amico Elon Musk, l’uomo che, tra una Tesla e un razzo per Marte, pare essere diventato il primo consigliere del presidente.

Ma Trump non è solo il re dell’autocelebrazione. È anche un maestro della retorica populista. Durante il discorso ha giocato la carta dell’“umanità”, esaltando singole storie di cittadini americani. Un bambino malato di cancro, grande ammiratore della polizia, è stato nominato agente onorario dei servizi segreti. Una sportiva ferita da un avversario trans ha ricevuto un tributo speciale. Le famiglie delle vittime di crimini hanno avuto i loro momenti di commozione. Ma attenzione: ogni episodio era perfettamente studiato. Gli esempi di criminalità? Ovviamente legati a immigrati clandestini. L’eroico poliziotto premiato? Ha salvato un collega da una gang messicana. La preoccupazione per i bambini malati? Usata per giustificare una presunta battaglia contro le tossine nell’ambiente. Peccato che l’amministrazione Trump sia tutto fuorché un baluardo della tutela ambientale.

Chi si ostina a dipingere Trump come un semplice manipolatore, però, commette un errore. Certo, la verità è per lui un concetto molto elastico, ma non più di quanto lo sia stata per i suoi predecessori, a partire dall’amministrazione Biden, che ha mentito in modo spudorato sul genocidio di Gaza. E Trump, a modo suo, crede davvero in ciò che dice. È un leader che combina cinismo tattico e convinzioni profonde, un mix esplosivo che continua a renderlo pericolosamente efficace.

Non tutto nel suo discorso è stato sorprendente. Nessuna rivelazione sensazionale, niente colpi di scena epocali. E naturalmente, la sua narrazione è stata infarcita di iperboli. I solerti fact-checker del New York Times si sono affrettati a smentire alcune delle sue dichiarazioni: ha esagerato sui brogli elettorali scoperti da Musk, ha distorto la realtà su energia e ambiente, ha giustificato i suoi dazi con affermazioni iperboliche sul commercio mondiale. Tutto vero, ma anche tutto scontato. Chi si scandalizza per le bugie di Trump farebbe meglio a guardare il panorama politico americano nella sua interezza: la menzogna è bipartisan.

Il punto cruciale del discorso, però, non è tanto nelle bugie quanto nel ritratto che Trump ha offerto di sé stesso. Quello che è emerso è un presidente spietato e vendicativo. Nessuna mano tesa ai democratici sconfitti: Biden è stato bollato come “il peggior presidente della storia americana” – e su questo, onestamente, potrebbe non avere tutti i torti. Elizabeth Warren, come da tradizione, è stata ridicolizzata con il solito soprannome “Pocahontas”. E in generale, Trump ha massacrato i suoi nemici con la solita ferocia, tra il divertimento dei suoi sostenitori e l’indignazione dei suoi detrattori.

Ma attenzione: Trump è anche lucido e determinato. Nessun segno di declino mentale o fisico. Al contrario, ha dimostrato una concentrazione e una capacità oratoria che fanno impallidire le gaffe senili di Biden e le assurdità di Kamala Harris. Chi lo considera ormai in fase calante farebbe bene a ricredersi.

E poi c’è l’aspetto più inquietante: Trump il visionario. Ha promesso di inaugurare una “rivoluzione del buon senso” per riportare l’America alla sua “età dell’oro”. Vuole creare la civiltà “più libera, avanzata, dinamica e dominante della storia.” Ed è proprio qui che emerge il paradosso. Perché Trump non capisce – o finge di non capire – che la vera grandezza non si costruisce con il dominio sugli altri. L’America potrà ancora essere potente, ma solo se rinuncerà all’ossessione di voler dominare il mondo. Perché la libertà, quella vera, non è solo per gli americani. Se Trump vuole davvero una rivoluzione del buon senso, la prima cosa da abbandonare è la follia del dominio globale.

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