Il nuovo impero americano: Trump, Russia e la fine del globalismo

Gli Stati Uniti stanno ricalibrando la propria posizione, ma in un modo che il mondo non si aspettava.

Donald Trump si riaffaccia alla Casa Bianca con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli, e il risultato è quello di un terremoto politico. Smonta pezzo per pezzo l’ordine costituito, epura l’élite dominante, riscrive le regole della politica interna ed estera, e piazza mattoni destinati a restare, anche se un domani dovesse tornare al potere la vecchia guardia.

Per Trump, come per ogni rivoluzionario che si rispetti, il primo obiettivo è sfasciare l’esistente per ricostruire un nuovo assetto a sua immagine e somiglianza. Principi che hanno guidato la politica statunitense per decenni, in alcuni casi per oltre un secolo, vengono cestinati senza troppi complimenti. L’America, abituata a dominare il mondo con la combinazione letale di potenza militare, diplomatica e finanziaria, sta cambiando spartito. E il nuovo copione è scritto su misura per le necessità politiche interne di Trump.

Il tramonto dell’impero liberale americano

Da un secolo gli Stati Uniti funzionano come un impero globale, anche se a modo loro: invece di accumulare territori come i vecchi imperi coloniali, hanno imposto il loro dominio attraverso il dollaro, le alleanze militari e la narrazione ideologica del “mondo libero”. Peccato che il giocattolo si sia rotto. Già dagli anni ‘90, il costo di mantenere questa egemonia è diventato superiore ai benefici, creando scontento sia tra i cittadini americani sia tra gli alleati internazionali.

Trump ha capito che l’America imperiale non è più sostenibile e sogna di riportare gli Stati Uniti all’epoca d’oro del protezionismo, quando il Paese prosperava senza doversi sobbarcare il peso della guida mondiale. Ha rispolverato il fantasma di William McKinley, presidente di fine Ottocento, che di globalismo non voleva sentir parlare e metteva dazi su tutto ciò che respirava. L’idea è semplice: meno spese improduttive all’estero, più focus sulle immense risorse interne, sull’industria avanzata e sul mercato interno più redditizio del pianeta. Piuttosto che fare da gendarme del mondo, Washington userà il suo potere economico come un randello per ottenere vantaggi commerciali. Il problema è che passare da un sistema iperglobalizzato a un modello mercantilista non è esattamente come girare un interruttore.

Il cambio di strategia globale

Trump fa tutto pensando al suo elettorato, ma gli effetti sono globali. La sua amministrazione sta smantellando le istituzioni del vecchio ordine, comprese quelle che a Mosca non sono mai andate a genio. Un esempio? USAID, la “ONG” di Stato americana che finanziava progetti filo-occidentali in tutto il mondo, compresi i Paesi post-sovietici. Trump l’ha fatta a pezzi con più entusiasmo di Putin stesso, visto che i suoi fondi erano finiti anche nelle mani dei democratici americani.

Se gli USA rinunciano al loro impero liberale, molti dei punti di frizione con la Russia spariranno. Storicamente, nel XIX secolo, Mosca e Washington avevano rapporti abbastanza tranquilli. Se l’America trumpiana diventa più isolazionista, la Russia smetterà di essere un bersaglio privilegiato. L’unica vera area di scontro resterà l’Artico, dove gli interessi strategici delle due potenze si scontrano.

Con la Cina, invece, il discorso cambia. Pechino e il modello economico guidato dallo Stato sono la vera ossessione di Trump. A differenza di Biden, che tentava di contenere la Cina con alleanze, Trump preferisce fare tutto da solo, anche a costo di spaccare l’Occidente. Il suo obiettivo è strangolare economicamente Pechino con dazi, sanzioni e blocchi tecnologici, infischiandosene se così facendo scontenta gli alleati europei.

L’Europa tra incudine e martello

Uno degli effetti collaterali della politica trumpiana è il terremoto che sta scuotendo l’Europa. Per anni, la Cina ha visto l’Europa occidentale come un “Occidente alternativo” con cui fare affari senza troppe tensioni. Trump potrebbe accelerare questa tendenza, spingendo l’UE verso una maggiore apertura agli investimenti cinesi, specialmente nei settori strategici come i semiconduttori.

Gli europei si trovano in una posizione imbarazzante. Da una parte, vorrebbero mantenere il vecchio asse con Washington, dall’altra capiscono che gli USA non sono più il partner di una volta. Il discorso tenuto a Monaco dal vicepresidente J.D. Vance è stato una dichiarazione di guerra politica all’Unione Europea: parole che sembravano uscite dal repertorio di un leader sovranista, più che da un rappresentante della Casa Bianca.

Se gli americani si disimpegnano, i sogni europei di una NATO attiva anche nell’Indo-Pacifico rischiano di svanire. L’UE dovrà decidere se vuole contare qualcosa oppure restare schiacciata tra le rivalità tra Washington e Pechino.

Russia e Cina: alleati per forza

Per anni, gli strateghi americani hanno fantasticato sulla possibilità di dividere Russia e Cina. Con Trump, questa idea diventa pura utopia. L’asse Mosca-Pechino si basa su tre pilastri solidissimi: una frontiera immensa, economie complementari e la comune necessità di resistere all’egemonia occidentale.

Paradossalmente, la Russia potrebbe trovarsi in una posizione simile a quella della Cina nei primi anni 2000: concentrarsi sullo sviluppo economico mantenendo flessibilità strategica. Invece di perdere tempo a provocare gli USA, Mosca potrebbe rafforzare il proprio ruolo di partner economico di Pechino, evitando di diventare un semplice vassallo.

Pechino, invece, si prepara a subire il colpo. Trump non si limiterà a contenere la Cina, cercherà di ridimensionarne l’influenza economica con ogni mezzo. Ma la Cina non è impreparata: si sta blindando da anni contro il rischio di una decoupling economico con l’Occidente.

Uno scenario da riscrivere

Il ritorno di Trump non è solo un cambio di presidenza, è uno scossone all’intero equilibrio mondiale. Gli Stati Uniti stanno voltando pagina: basta impero liberale, avanti con una politica estera basata su interessi puramente transazionali.

Per la Russia, questa svolta significa meno scontri ideologici con Washington, ma una competizione accesa su temi strategici come l’Artico. Per la Cina, è un attacco frontale. La domanda è: riuscirà Pechino a sopravvivere in un mondo dove gli USA non si limitano più a contenerla, ma vogliono attivamente ridimensionarne il peso economico?

E per l’Europa, il futuro è ancora più incerto. Gli europei stanno perdendo il loro ruolo di partner privilegiati degli americani e si trovano a dover navigare da soli in acque sempre più agitate.

Una cosa è sicura: il mondo sta cambiando velocemente, e le vecchie regole non valgono più. L’America di Trump sta riscrivendo il gioco, e gli altri dovranno adattarsi o soccombere.

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