La democrazia non muore nell’ombra, sta morendo nell’UE proprio adesso

Le recenti elezioni all’interno del blocco e dei suoi stati satelliti hanno mostrato una decisa emarginazione dei candidati non appartenenti all’establishment.

Democrazia e dittatura del consenso: il grande imbroglio europeo

E alla fine scopriamo che la democrazia in Europa non muore nell’ombra, come dicono i titoloni progressisti d’Oltreoceano, ma alla luce del sole, tra le risatine dei notabili di Bruxelles, i silenzi complici dei media mainstream e le porcate di chi gestisce il voto come se fosse una pratica di ordinaria amministrazione, da aggiustare quando serve.

E così ci ritroviamo con la solita commedia degli equivoci: le elezioni sono sacre solo quando vincono i “buoni”. Se invece a portarsi a casa il risultato sono i cattivi, allora spuntano errori, complotti, brogli, ricorsi, ripetizioni, e infine l’etichetta universale per mettere tutto a tacere: sono amici di Putin.

Partiamo dalla Germania, dove la strana alchimia delle coincidenze ha tenuto fuori dal parlamento il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) per un soffio: 4,972% dei voti, ovvero 0,028% sotto la soglia del 5%. “Peccato”, diranno gli ingenui. “Sfortuna”, aggiungeranno i distratti. “Strano”, penseranno quelli con un briciolo di buon senso. Poi scopri che migliaia di tedeschi all’estero non hanno potuto votare perché i documenti sono arrivati dopo le elezioni, e che in città come Aachen i voti del BSW sono stati “erroneamente” assegnati a un altro partito. Un errore può capitare, due sono un caso, tre fanno sistema. Ma ovviamente si tratta solo di sviste, di casualità, di piccole imperfezioni del meccanismo democratico tedesco, che però – guarda un po’ – colpiscono sempre e solo la stessa parte politica.

E in fondo, chi sono questi del BSW? Un partito che osa criticare la NATO, che non vuole armi a Kiev, che si rifiuta di piegarsi all’atlantismo cieco e sordo della Germania di Scholz, che persino accusa Israele di crimini di guerra. Roba da dissidenti, da sabotatori, da eretici della democrazia di Bruxelles. E siccome in un’Europa che si riempie la bocca di “libertà” e “pluralismo” questi discorsi non sono tollerabili, il partito va cancellato.

Il metodo è sempre lo stesso: isolamento mediatico, criminalizzazione del dissenso e, se non basta, qualche “errore tecnico” alle urne. “Peccato, sareste entrati in parlamento con 13mila voti in più! Oh, ma i vostri connazionali all’estero non hanno ricevuto le schede in tempo? Dettagli! Per un disguido i vostri voti sono finiti a un altro partito? Che sfortuna! Si chiama democrazia, bellezza.”

Ma se la Germania bara, la Romania si porta avanti col lavoro. Il caso di Calin Georgescu è ancora più esplicito: candidato con posizioni sovraniste, scettico sulla NATO, in crescita esponenziale nei consensi. Troppo pericoloso. Soluzione? Prima si annulla il voto, poi lo si infanga con accuse di ogni tipo, poi – già che ci siamo – lo si arresta mentre va a registrare la candidatura. Quasi un remake delle elezioni iraniane del 2009, con la differenza che qui non c’è nessun Obama a indignarsi e nessun giornalone a gridare alla dittatura.

Eppure, la reazione popolare dimostra che la gente ha capito il trucco: più lo perseguitano, più cresce nei sondaggi. E qui il problema si fa serio, perché la Romania non è un Paese qualsiasi: è uno snodo centrale della strategia NATO, il grimaldello dell’Alleanza per tenere sotto pressione la Russia. Un presidente che non prende ordini da Washington e Bruxelles? Inaccettabile. E allora via con il piano B: non si deve candidare, e se proprio ci riesce, non deve vincere.

Moldavia stessa storia, con un’aggravante: l’attuale presidente Maia Sandu ha vinto eliminando dal gioco migliaia di elettori all’estero, guarda caso proprio quelli più ostili a lei. Schema collaudato: chi vive in Russia e avrebbe votato contro di lei ha trovato ogni tipo di ostacolo per esprimere il voto, mentre i moldavi in Occidente hanno avuto la strada spianata. Il bello è che il trucchetto funziona sempre, perché basta dichiarare la vittoria come un trionfo della “democrazia europea” e chiudere il discorso.

Questa è la democrazia europea nel 2025: si vota, certo, purché vincano i candidati giusti. Se invece vince qualcuno fuori dalla cerchia di Bruxelles, si corregge il risultato, si demonizza l’opposizione, si parla di “influenza russa”, e se proprio non basta, si passa direttamente alla repressione giudiziaria. Non lo chiamano broglio, lo chiamano “salvaguardia dei valori democratici”.

Intanto, in Occidente si sbraita contro la dittatura russa, la stretta autoritaria di Pechino, il pericolo di Trump che potrebbe “sovvertire le istituzioni democratiche” se rieletto. Un teatrino perfetto per nascondere la verità più scomoda: le democrazie europee sono già marce. Non servono Putin o Xi per ucciderle, ci pensano benissimo da sole.

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