Gli ucraini traditi da tutti: usati, illusi e poi scaricati

Il teatrino del bene contro il male non regge più. Gli USA scaricano Zelensky perché la guerra non conviene più. L'Europa, servile con Washington, ora finge autonomia.

di Alberto Piroddi

Ogni volta che la realtà diventa scomoda, scatta la solita narrazione del bene contro il male, del bullo contro la vittima, dell’uomo forte e prepotente contro il povero innocente che non ha colpe. Funziona sempre così: il dibattito pubblico viene incasellato in una sceneggiatura preconfezionata, dove la complessità si riduce a una storia edificante da raccontare al pubblico. Ma la politica, quella vera, non è una soap opera, e il modo in cui alcuni leader vengono trattati quando le telecamere sono accese non è mai una coincidenza.

Non è successo nulla di straordinario, per esempio, nel momento in cui Trump e Vance hanno fatto capire a Zelensky che il tempo dei finanziamenti a fondo perduto era finito. Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena: semplicemente, gli Stati Uniti non hanno più interesse a sostenere la guerra in Ucraina con assegni in bianco, e lo hanno detto senza fronzoli. Il problema non è che Zelensky è stato maltrattato, il problema è che si è presentato con il registro sbagliato, convinto di poter ancora recitare la parte dell’eroe che chiede aiuto e viene acclamato. Invece ha trovato davanti a sé interlocutori che hanno smesso di crederci e che gli hanno risposto come si risponde a chi non ha più alcuna leva negoziale: con indifferenza.

Eppure, c’è chi ancora racconta la favola del leader ucraino vessato, perseguitato, messo alla gogna da chi ha scelto di voltargli le spalle. E mentre si costruisce l’ennesimo racconto strappalacrime, si evita di analizzare il vero nodo della questione: non è stato Trump a cambiare atteggiamento, è stata la guerra a cambiare direzione. L’America non si ritira per cattiveria o capriccio, ma perché ha compreso che insistere in questa strategia non porta più vantaggi. Lo stesso copione si è visto in passato con altri alleati improvvisamente abbandonati perché diventati un peso: ieri il Vietnam, poi l’Afghanistan, oggi l’Ucraina. Fa parte della logica con cui Washington gestisce i suoi protetti.

E in tutto questo, chi ha chiesto qualcosa agli ucraini? Nessuno. Perché nessuno ha mai chiesto loro cosa volessero davvero. Non sono stati liberi di scegliere tra la pace e la guerra, non sono stati liberi di decidere se sacrificarsi o negoziare, non sono stati liberi di rifiutare l’escalation. Gli hanno detto che combattevano per la democrazia, mentre veniva cancellata ogni opposizione interna e trasformato il Paese in una caserma. Gli hanno detto che avrebbero vinto, mentre venivano spediti al fronte senza alcuna possibilità di ribaltare le sorti del conflitto. E oggi, mentre Washington fa il suo calcolo e si prepara a sganciarsi, gli ucraini si trovano soli, dopo essere stati usati come pedine sacrificabili su una scacchiera che non hanno mai controllato.

A questo punto, mentre l’egemonia americana si assesta su nuove coordinate, l’Europa si trova di fronte all’ennesima crisi di identità. Per anni ha seguito fedelmente la linea dettata da Washington, fino al punto di sacrificare i propri interessi economici e strategici in nome di una lealtà che ora, improvvisamente, non sembra più così scontata. Di colpo, dopo aver smantellato ogni possibile autonomia, si scopre che serve un’Europa indipendente. E chi la chiede? Gli stessi che fino a ieri si indignavano contro ogni tentativo di sganciarsi dalla logica atlantista. Gli stessi che oggi, tra una condanna a Trump e un elogio alla NATO, vorrebbero trasformare l’Unione Europea in una fortezza militarizzata, convinti che sia l’unico modo per non soccombere alle nuove dinamiche geopolitiche.

La retorica dell’Europa libera e sovrana suona patetica se arriva da chi per anni ha reso Bruxelles una dependance di Washington. Ci si accorge tardi che la sudditanza non è mai un buon affare, soprattutto quando il padrone di casa decide di traslocare. Ma anziché trarre le giuste conseguenze e ripensare davvero la posizione dell’Europa, si preferisce puntare sull’ennesima illusione: quella di un’UE forte, ma senza una politica estera autonoma; di un’Europa unita, ma divisa su tutto; di un continente che si oppone ai giochi di potere, mentre li accetta docilmente ogni volta che arrivano da Oltreoceano.

Alla fine, la politica europea rischia di diventare un eterno esercizio di ipocrisia, dove si invocano sovranità e autodeterminazione solo quando fa comodo. Se l’Europa vuole davvero emanciparsi, non deve cercare nuovi padrini, ma ripensare dalle basi il proprio ruolo. E soprattutto, deve smettere di raccontarsi favole. Perché i bulli, i perseguitati e i salvatori della patria esistono solo nei film. Nella politica reale, ci sono solo rapporti di forza. E chi non li capisce, è destinato a essere travolto.

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