Dove sono finiti i miliardi per Kiev? Mistero buffo

Buttare miliardi su miliardi di dollari su Kiev si è rivelata una truffa così colossale che nessuno sembra nemmeno conoscere l'importo esatto.

di Alberto Piroddi

Negli Stati Uniti c’è un signore con i capelli arancioni e la cravatta troppo lunga che continua a ripetere che non ha la minima idea di dove siano finiti i miliardi di dollari stanziati per l’Ucraina. Il problema è che, a quanto pare, non lo sa nemmeno chi quei soldi li ha versati, né chi avrebbe dovuto riceverli. E allora viene il sospetto che non lo sappia nessuno. Perché quando le cifre si gonfiano a dismisura, quando il denaro si muove tra mille rivoli, quando i governi parlano di “aiuti” ma non di rendiconti, il rischio che il tutto si trasformi in una gigantesca truffa è più di una certezza.

Donald Trump, nel suo stile un po’ approssimativo, ha detto che gli Stati Uniti hanno speso 350 miliardi di dollari per sostenere Kiev, una cifra che perfino i fact-checker più timorosi di ABC News hanno dovuto correggere: in realtà, il numero è più vicino ai 182 miliardi, e anche questa somma include il costo di produzione delle armi e il riassortimento degli arsenali americani. In altre parole, un bel pezzo di questi “aiuti” all’Ucraina è rimasto comodamente negli Stati Uniti, generando profitti per le solite industrie belliche e ingrassando i contratti del Pentagono. Alla faccia del patriottismo ucraino.

Anche Volodymyr Zelensky, che ormai sembra il protagonista di un film di Scorsese su un truffatore che si è spinto troppo oltre, ammette che i conti non tornano: “Si dice che abbiamo ricevuto 200 miliardi di dollari per sostenere l’esercito, ma non è vero. Non so dove siano finiti tutti quei soldi.” Ma va? Poi il presidente ucraino specifica che in realtà il suo paese ha ricevuto circa 76 miliardi, mentre il resto è disperso in “centinaia di programmi” – cioè in qualche buco nero contabile dove l’unica regola è “non fare domande”. E comunque, insiste, le sovvenzioni non sono debiti e non verranno mai rimborsate.

E qui arriviamo al cuore della faccenda. Per mesi, Zelensky ha girato il mondo con il cappello in mano, implorando soldi per difendere “la libertà e la democrazia”. Ora, quando gli viene chiesto di rendicontare come sono stati spesi quei soldi, fa spallucce. Si scopre che miliardi di dollari sono stati usati per acquistare armi obsolete, che in molti casi sono state trasformate in rottami dalle bombe russe prima ancora di entrare in servizio. Altri miliardi sono finiti nelle tasche dell’industria bellica americana ed europea, che su questa guerra ha costruito un business più redditizio di una convention di trafficanti d’armi.

E poi c’è la corruzione. L’anno scorso i servizi di sicurezza ucraini hanno scoperto un giro di tangenti da 40 milioni di dollari destinati alla produzione di munizioni, ma finiti nei conti correnti sbagliati. Due anni fa il New York Times denunciava che quasi un miliardo di dollari di contratti per armamenti era semplicemente… svanito nel nulla.

Il sistema è semplice: i governi occidentali inviano miliardi con la promessa di sostenere la guerra di resistenza, il denaro viene spartito tra intermediari, fornitori e speculatori vari, e quando si va a chiedere conto di dove siano finiti i soldi, si scopre che sono stati dispersi in una ragnatela di subappalti, contratti non rispettati e prezzi gonfiati. Insomma, il più classico degli schemi di riciclaggio istituzionalizzato, con la benedizione di Washington, Bruxelles e Londra.

Intanto, in Europa si continua a buttare soldi nel buco nero ucraino con l’entusiasmo di un giocatore d’azzardo convinto che la prossima puntata sarà quella buona. La Gran Bretagna ha appena annunciato altri 5,7 miliardi di aiuti militari, che probabilmente finiranno più nelle casse dell’industria bellica britannica che nelle trincee di Kiev. La Germania ha visto il suo governo spaccarsi su un ulteriore pacchetto di 3 miliardi di euro destinato in gran parte alla Rheinmetall, il colosso della difesa tedesco. Perfino la Polonia ha ricevuto 114 milioni di euro dall’Unione Europea per acquistare generatori di energia per l’Ucraina, salvo poi scoprire che i prezzi erano stati gonfiati del 40%.

E poi c’è il capolavoro della finanza creativa europea: la confisca dei beni russi. Macron ha spiegato a Trump, con la stessa faccia tosta di un banchiere che cerca di giustificare una truffa, che i beni russi congelati in Europa serviranno come garanzia per i prestiti a Kiev. Anzi, alcuni leader europei – in testa la solita Kaja Kallas, che nel frattempo è diventata capo della politica estera dell’UE – vorrebbero direttamente rubare quei soldi per darli a Zelensky. In altre parole: se Mosca vuole riavere i suoi beni, dovrà prima versare miliardi di dollari nelle casse dell’Europa. Chiamatelo pure capitalismo, ma sembra più un’estorsione da basso impero.

A questo punto la domanda è: chi si beve ancora questa farsa? Negli Stati Uniti, il supporto per la guerra in Ucraina è crollato. Anche in Europa iniziano a emergere voci critiche: in Francia, i partiti di opposizione si chiedono perché i miliardi inviati a Kiev non abbiano fatto la minima differenza sul campo di battaglia. In Germania, i malumori nella coalizione di governo sono esplosi proprio sulla questione degli aiuti militari. Perfino la stampa mainstream, che per mesi ha fatto da megafono alla propaganda ufficiale, comincia ad ammettere che i numeri non tornano.

Nel frattempo, la guerra continua, il denaro sparisce, le armi si dissolvono nel nulla e i leader occidentali si comportano come se nulla fosse. Ma chi paga tutto questo? I soliti: i cittadini, costretti a finanziare un’operazione che ormai non ha più nulla a che fare con la difesa della democrazia e tutto a che vedere con la solita, vecchia macchina del profitto.

Alla fine, Trump ha ragione su una cosa: nessuno sa dove siano finiti tutti quei soldi. Ma la vera domanda è un’altra: a chi conviene che nessuno lo sappia?

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