L’onda che inghiotte senza farsene accorgere

Il film tedesco del 2008, L'onda, mostra come il conformismo generi derive autoritarie. Oggi il controllo sociale si è trasformato, ma l’onda della repressione cresce e travolge tutto.

di Alberto Piroddi

C’è sempre una buona ragione per girarsi dall’altra parte. Per non vedere. Per non capire. Per convincersi che certe cose non possano più accadere, perché “la Storia ci ha insegnato”. Poi arriva un film come L’onda (Die Welle), e ci sbatte in faccia una verità che dovrebbe essere ovvia: la Storia non insegna un bel niente, se chi dovrebbe imparare si rifiuta di ascoltare.

Il film del 2008 diretto da Dennis Gansel è tratto dall’omonimo romanzo di Todd Strasser, che lo scrisse sotto lo pseudonimo di Morton Rhue, a sua volta ispirato all’esperimento di Ron Jones del 1967 in una scuola californiana, The Third Wave. In Germania il romanzo è diventato un classico della letteratura scolastica, a dimostrazione del fatto che certi temi continuano a rimanere attuali.

L’onda è una di quelle opere che mettono a disagio. E non tanto perché racconta la genesi di un movimento fascistoide tra studenti tedeschi in una manciata di giorni – quello è quasi ovvio, in un paese che ha avuto Hitler e che ha passato gli ultimi 80 anni a chiedersi come sia stato possibile. No, il disagio viene da qualcos’altro: la facilità con cui la società moderna, iperconnessa, istruita, vaccinata contro il ritorno dell’autoritarismo, continua a cascarci con la stessa ingenuità, la stessa beata incoscienza di chi si crede immune.

Un insegnante di scienze sociali, Rainer Wenger, deve spiegare ai suoi studenti il concetto di autocrazia. I ragazzi sbuffano: “Non può succedere di nuovo. Noi sappiamo”. E Wenger, invece di insistere con le solite lezioni frontali che si perdono nel vuoto, decide di dimostrargli quanto sia facile cadere nel conformismo autoritario. Li coinvolge in un esperimento: un nome, Die Welle (L’Onda), un logo, un’uniforme, una gerarchia. E in pochi giorni il gioco diventa realtà. Gli studenti scoprono il potere dell’unità, della disciplina, della forza del gruppo. Scoprono quanto sia semplice convincersi che chi è fuori dal cerchio è un nemico. E il professore, come ogni demiurgo che si rispetti, si trova risucchiato dalla sua stessa creazione.

L’ovvietà della trama non deve trarre in inganno. Quello che il film mette in scena non è l’eccezionalità di un esperimento scolastico finito male, ma la regolarità con cui il potere – qualunque potere – riesce a imporsi sulle masse quando le masse smettono di pensare in proprio. L’onda non è una storia sulla Germania nazista, è una storia sulla natura umana.

Tutti credono di essere individui unici, autonomi, indipendenti. Tutti si dicono “immuni” alla propaganda, ai movimenti di massa, alla pressione sociale. Eppure, basta che qualcuno offra un senso di appartenenza, un’identità comune, un “noi contro loro”, e le persone accorrono come falene alla luce. Perché la libertà, quella vera, è scomoda. Troppo faticosa. Meglio avere regole, meglio avere un leader, meglio sentirsi parte di qualcosa che ti dice cosa fare, come vestirti, come salutare.

L’onda mette in scena questo processo con una lucidità disarmante. Gli studenti non diventano nazisti perché qualcuno li costringe: lo fanno perché gli piace. Perché scoprono che c’è forza nella disciplina, sicurezza nel conformismo, adrenalina nell’identificarsi in un gruppo esclusivo. Ed è qui che il film diventa veramente inquietante: quando mostra che non serve un dittatore, una crisi economica, un’ideologia forte. Basta una classe di adolescenti annoiati, un esperimento nato quasi per scherzo, e il risultato è sempre lo stesso.

C’è chi ha criticato il film per il suo finale esagerato, teatrale, “poco realistico”. Come se il punto fosse quello. Come se la cosa più incredibile fosse la tragedia finale, e non l’esperimento stesso. Invece L’onda non è un film con una morale chiara e rassicurante. Non ci dice “guardate cosa è successo, ora fate attenzione”. No, il film si limita a mostrare, a lasciarci con la domanda più scomoda di tutte: se fosse successo a me, sarei stato abbastanza sveglio da accorgermene?

Chi pensa di avere la risposta è già fregato.

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