Toghe rotte

Se ieri l’80% dei 9 mila magistrati italiani ha aderito allo sciopero dell’Anm, queste famose “toghe rosse” iniziano a essere un po’ troppe.

di Marco Travaglio

Se ieri l’80% dei 9 mila magistrati italiani ha aderito allo sciopero dell’Anm, queste famose “toghe rosse” iniziano a essere un po’ troppe. O forse si sono semplicemente rotte di fare i capri espiatori di una politica delinquenziale che le ha elette – con gli altri poteri di controllo – a parafulmini di ogni guaio e disastro interno. Non è la prima volta che protestano contro schiforme ammazza-giustizia. Era accaduto con Cossiga, con B., col suo degno erede Renzi e col duo Cartabia-Draghi. Ma il successo dello sciopero di ieri ha del miracoloso, perché coincide col periodo più critico della magistratura, dopo gli scandali e le perdite di consenso (peraltro infinitamente più alto di quello della classe politica). L’insipienza di Nordio &C., mista ad arroganza e cialtroneria, è riuscita nella mission impossible di risvegliare anche il corpaccione più sonnacchioso della classe togata e compattarla come ai bei tempi del triplice “Resistere” di Borrelli (correva l’anno 2002). Certo, quell’appello fu seguito da mesi e mesi di mobilitazioni di piazza (Girotondi e affini), mentre oggi la società civile stenta a farsi vedere e sentire. Ma l’eccesso di ùbris che sta contrassegnando gli ultimi mesi del governo Meloni sta a poco a poco ridestando anche l’opinione pubblica.

La brace che cova sotto la cenere potrebbe presto esplodere in nuove fiammate se i magistrati associati (ma ieri erano con loro fior di avvocati, da Alpa a Coppi, per citare solo i più noti) usciranno dal giuridichese e controinformeranno la cittadinanza con parole chiare ed esempi semplici sui pericoli che le schiforme governative comportano non per loro, ma per noi. Il video dell’Anm che smonta le balle degli schiformatori è un ottimo inizio. Così come l’idea di coinvolgere artisti, intellettuali e giornalisti in una battaglia che deve uscire dalle aule di giustizia e delle accademie per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini: cioè le vere vittime di un potere al di sotto di ogni sospetto che si crede al di sopra della legge. La campagna per il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere è appena all’inizio e i sondaggi che danno i Sì in vantaggio sui No non devono spaventare né scoraggiare. Anzitutto perché ci sono battaglie di principio che vanno combattute a prescindere dai pronostici: per la dignità e l’orgoglio di fare tutto il possibile per scongiurare l’ennesimo sfregio alla Costituzione. E poi non c’è nulla di più volubile e volatile dei consensi. Nel 2014, quando il Fatto sposò solitario l’appello di Libertà e Giustizia, primi firmatari Rodotà e Zagrebelsky, contro la schiforma Renzi-Boschi-Verdini, i sondaggi davano il No allo zero per cento. Due anni dopo, quando si votò, il No stracciò il Sì 59 a 41. Basta insistere. E informare.

Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2025

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