di Salvatore Cannavò
Dal Recovery fund al “Military fund”. È una delle ipotesi che la Ue sta valutando per reagire alla rottura transatlantica provocata da Donald Trump. Un progetto, secondo quanto riportato dal Financial Times, da 500 miliardi in dieci anni che dovrebbe attingere, per cominciare, ai fondi non spesi del NextGenerationEu, ma anche a quelli della Coesione sociale.
Bloomberg, intanto, fa sapere anche che si sta lavorando a un pacchetto da 700 miliardi “per incrementare le spese per la difesa e sostenere Kiev”. Se ne sarebbe discusso nella recente riunione di Parigi consegnandosi al silenzio fino alle elezioni tedesche del 23 febbraio. Ma la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha confermato l’indiscrezione.
Nonostante l’Europa, sommando tutte le forze militari dei 27 paesi e unendo a queste la Gran Bretagna, abbia una capacità militare superiore a Mosca, continua a ritenere la minaccia russa come esiziale e pensa solo all’espansione massiccia degli armamenti. Per questo, secondo il quotidiano inglese, Ursula von der Leyen avrebbe fatto circolare il progetto di “reindirizzare 93 miliardi di euro di fondi inutilizzati” legati al Recovery fund al settore della difesa. “Secondo quattro persone a conoscenza della discussione – scrive il Ft – la presidente della Commissione europea ha accennato all’opzione del finanziamento durante un incontro del Partito popolare europeo tenutosi martedì”. I miliardi sarebbero quelli attualmente non spesi e non si capisce se si tratta di fondi che sarebbero potuti essere assegnati ai paesi destinatari, come l’Italia che si trova a meno di due anni dalla scadenza del Pnrr con solo il 30% dei soldi ricevuti effettivamente stanziati e spesi. L’operazione avrebbe bisogno della modifica del regolamento del NextGEu, quindi della maggioranza dei paesi Ue e del voto del Parlamento europeo. “I fondi rimanenti – continua il quotidiano finanziario – potrebbero essere utilizzati per investire in progetti di ricerca e sviluppo, nonché per investimenti nelle cosiddette infrastrutture a duplice uso, come gli aeroporti”.
Ricorrendo al cosiddetto dual use – l’utilizzo sia civile che militare – il piano Von der Leyen avrebbe nel mirino anche i fondi di Coesione sociale, anch’essi ampiamente non spesi e che potrebbero essere indirizzati a progetti di sviluppo industriale legati alle capacità militare. Si tratta di 392 miliardi di fondi europei per il periodo 2021-2027 – a cui gli Stati aggiungono risorse proprie per un pacchetto complessivo di investimenti di oltre 500 miliardi – che alla fine del 2024 risultavano “allocati” al 30% e spesi solo al 5%. Sono i fondi presidiati dal commissario italiano e vicepresidente della Commissione europea, Raffaele Fitto. I parlamentari europei del M5S, Danilo Della Valle e Valentina Palmisano, parlano di “inaccettabile scippo all’Italia” visti i ritardi sul Pnrr.
Intanto si continua a perseguire comunque l’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari. “Sono in contatto in modo molto attivo con quei Paesi che non sono ancora arrivati al 2%”, ha dichiarato il Segretario generale Nato, Mark Rutte, in versione cane da guardia degli Usa: “Se non reagiscono alle mie telefonate, dovranno poi reagire a quelle di una certa persona che sta a Washington…”.
Ma oltre al 2% si lavora anche ad altri due progetti tra loro intrecciati. Il primo prevede l’istituzione di “un veicolo di finanziamento intergovernativo per la difesa” allargato anche al Regno Unito e alla Norvegia, che aggirerebbe le procedure decisionali della Ue e i suoi vari poteri di veto. Si tratta della costituzione di uno strumento in grado di emettere obbligazioni garantite dagli Stati aderenti – e non dalla Ue nel suo complesso che, dati gli attuali rapporti di forza non sarebbe mai in grado di prendere una simile decisione – e che sembra darsi l’obiettivo, così riporta ancora il Financial Times, di raccogliere più di 500 miliardi di euro.
Non è chiaro al momento se questo “veicolo” debba essere più chiaramente una “banca del riarmo” o se invece quest’altro progetto servirebbe a costituire una istituzione di garanzia. La banca, in ogni modo, sul modello della Banca europea per la ricostruzione e sviluppo (Bers) vedrebbe gli Stati aderenti fornire il capitale iniziale (100 miliardi) per poi raccogliere risorse nel mercato creditizio.
Il progetto è stato proposto già da alcuni mesi in Gran Bretagna dal generale Nick Carter, ex capo dell’esercito britannico e ora diventa una ipotesi fatta propria dalla Commissione.
I maggiori paesi europei, quindi, non vogliono perdere il protagonismo militare e non disperano comunque di mantenere la collaborazione operativa con gli Stati Uniti. È il senso del viaggio che il premier inglese Keir Starmer ha in programma la prossima settimana a Washington, dove illustrerà a Donald Trump l’idea di un contingente di 30.000 soldati schierati sotto il comando dei paesi europei nelle città ucraine, nei porti e in altri siti infrastrutturali critici. Un modo per non essere tagliati fuori dai piani che seguiranno l’eventuale accordo di pace.
Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2025