Ottobre 2024

Il mito di Orfeo ed Euridice raccontato da Virgilio nelle Georgiche

IL MITO Il mito di Orfeo ed Euridice è una delle storie più affascinanti e struggenti della mitologia greca, spesso interpretata come una riflessione sull’amore, la perdita e l’impossibilità di sfuggire al destino. Orfeo, figlio della musa Calliope e del re tracio Eagro (secondo altre versioni, del dio Apollo), era un poeta e musicista di straordinario talento. Con la sua lira, donatagli proprio da Apollo, era in grado di incantare animali, piante e persino pietre con la bellezza della sua musica. La sua amata Euridice, una ninfa, morì tragicamente poco dopo il loro matrimonio, morsa da un serpente mentre fuggiva dalle avances di Aristeo. Disperato, Orfeo decise di scendere negli Inferi per riportarla nel mondo dei vivi, compiendo un’impresa che nessun mortale aveva mai osato tentare. Grazie alla sua musica, Orfeo riuscì a commuovere le divinità dell’oltretomba: Ade e Persefone gli concessero il permesso di riportare Euridice sulla Terra, ma a una condizione severa. Durante il cammino di ritorno, Orfeo non doveva voltarsi a guardare Euridice fino a quando non fossero completamente usciti dagli Inferi. Col cuore colmo di speranza, Orfeo iniziò il difficile viaggio, ma, proprio quando stavano per raggiungere la superficie, il dubbio e la paura presero il sopravvento: temendo di essere stato ingannato e che Euridice non lo stesse seguendo, si voltò per guardarla. In quell’istante, la ninfa fu risucchiata indietro nel regno dei morti, questa volta per sempre. Il mito si conclude con un Orfeo inconsolabile, incapace di vivere senza la sua amata. Nelle versioni più antiche della storia, si narra che Orfeo, incapace di amare di nuovo, venne dilaniato dalle Menadi, le seguaci di Dioniso, arrabbiate per il suo rifiuto di onorare il dio e per il suo distacco dal mondo. Il mito di Orfeo ed Euridice è stato interpretato in vari modi nel corso dei secoli. Alcuni lo vedono come una metafora dell’amore impossibile, altri come un commento sulla fragilità dell’essere umano di fronte alla potenza del fato. La musica di Orfeo, che supera i confini della vita e della morte, è stata spesso vista come un simbolo dell’arte stessa, capace di toccare l’animo umano nei suoi aspetti più profondi e misteriosi. * * * IL MITO RACCONTATO DA VIRGILIO Nelle Georgiche, Virgilio racconta il viaggio di Orfeo negli Inferi per recuperare Euridice, che è stata morsa da un serpente e portata nel regno dei morti. Come nel racconto più noto, Orfeo riesce a commuovere Plutone e Proserpina con la sua musica, ottenendo il permesso di riportarla indietro, a patto che non si volti a guardarla finché non saranno usciti dall’Ade. Tuttavia, Orfeo infrange questa condizione e perde Euridice per sempre. * * * Nel brano che segue, siamo di fronte al drammatico epilogo del mito di Orfeo ed Euridice. La storia si concentra sul momento in cui Orfeo, dopo aver ottenuto il permesso di riportare Euridice dal regno dei morti, sta per compiere il suo ritorno verso la luce del mondo dei vivi. Le condizioni poste per riavere Euridice sono semplici: durante tutto il tragitto Orfeo non deve mai voltarsi a guardarla. Mentre sono in cammino, con Euridice che lo segue da vicino, qualcosa lo assale. Orfeo, quasi vinto da un’irresistibile ansia e amore, si volta verso la sua amata proprio quando sono a un passo dalla salvezza. Ecco che si infrange la legge “del duro tiranno” Plutone, signore dell’Ade. Euridice si accorge subito della follia del suo sposo e, con dolcezza, lo rimprovera. Dice che ormai il “fato avverso” la sta richiamando, e che il sonno della morte la trascina di nuovo nelle tenebre. Nel momento in cui tende le mani verso di lui, svanisce come fumo nell’aria, lasciando Orfeo con la disperazione di non poterla più raggiungere. Il traghettatore dell’Ade non gli concede più il passaggio, e lui resta impotente davanti all’acqua dell’Inferno, con la consapevolezza di averla persa per sempre. Orfeo si abbandona a un dolore inconsolabile, simile a quello di un usignolo che piange i suoi piccoli strappati da un crudele aratore. Per mesi, sette lunghi mesi, Orfeo vaga, senza pace, lungo le rive del fiume Strimone, in un paesaggio desolato. Le sue sofferenze arrivano a tal punto che persino le tigri e gli alberi sembrano commuoversi al suono del suo canto. Il dolore di Orfeo, tuttavia, non si placa e lo spinge a vagare per terre sempre più lontane, persino verso i freddi ghiacci boreali. Orfeo continua a lamentarsi, invocando invano Euridice e maledicendo il suo destino. Il mito termina con un ulteriore tragico epilogo: le donne dei Ciconi, risentite dal rifiuto di Orfeo verso l’amore e la vita, lo fanno a pezzi durante i riti di Bacco. Anche la sua testa, staccata dal corpo, continua a chiamare Euridice, persino mentre viene portata via dal fiume Ebro. Persino le rive del fiume ripetono il nome della sfortunata Euridice, risuonando in un’eco perpetua di dolore. * * * E subito dal più profondo Erebo, commosse dal canto, ombre venivano leggere e parvenze di morti: a migliaia, quasi stormi di uccelli che si posano tra le foglie, quando la sera o l’aspra pioggia d’inverno li caccia giù dai monti; donne e uomini, e corpi475 di magnanimi eroi morti, e fanciulli e fanciulle, e giovani arsi sul rogo davanti ai genitori. E ora il fango nero e la squallida canna del Cocito, e la palude lurida con la sua acqua pigra li stringe d’intorno, e lo Stige con nove giri li rinserra.480 Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti del Tartaro, e le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi; e Cerbero restò muto con le tre bocche aperte, e la ruota d’Issione si fermò insieme al vento. E già Orfeo tornava, vinto ogni pericolo,485 ed Euridice veniva verso la luce del cielo seguendolo alle spalle (così impose Proserpina), quando una follia improvvisa lo travolse, da perdonare, certo, se i Mani sapessero perdonare. Orfeo già presso la luce, vinto d’amore,490 la sua Euridice si voltò a guardare. Così fu rotta la legge del duro tiranno, e tre volte

Mitologia e mito

La mitologia ha per oggetto lo studio dei miti creati dalle varie civiltà e dai diversi popoli. Che cosa è il mito? Questa parola è greca (mythos) e significa racconto. È necessario però aggiungere che il mito è un racconto favoloso, che si è formato in età antichissime presso le primitive comunità umane. Racconto favoloso, abbiamo detto, ma ben distinto dalla favola e dalla fiaba. Esso infatti ha le sue radici nella realtà, mentre nella fiaba e nella favola ha parte essenziale tutto ciò che nasce esclusivamente dall’immaginazione. Cerchiamo di immaginare la vita degli uomini primitivi, che, usciti dalle tenebrose e fredde caverne, a poco a poco si riuniscono in gruppi e formano tribù e villaggi, imparano a servirsi del fuoco e dei metalli e si suddividono varie attività, cercando di aiutarsi fra loro per affrontare le molteplici difficoltà della sopravvivenza. Le loro energie sono completamente impegnate nella ricerca del cibo e nella difesa di se stessi e della prole. Senza dubbio il mondo appare a questi nostri lontanissimi antenati sede di fenomeni per loro misteriosi e inspiegabili: il sole si stacca dal cielo, torna al giorno e alla notte; la luna compare presso l’orizzonte, diventa un grande globo luminoso e poi di nuovo gradatamente si assottiglia; uragani e tempeste scoppiano all’improvviso; terremoti, inondazioni, eruzioni di vulcani provocano devastazioni; la vegetazione e i frutti della terra a epoche fisse muoiono e rinascono; la natura appare ora come una madre benigna, ora come una temenda castigatrice. Chi dirige tutte queste vicende? Chi ha creato il cielo e i suoi astri, la terra, il mare? Perché gli esseri viventi nascono e muoiono? E che cosa è la morte? A tali domande l’uomo non trova risposta per mezzo della ragione, che gli fornisce solo poche e primitive conoscenze e perciò egli ne cerca la spiegazione con la fantasia. Alla fantasia pare che la natura sia tutta quanta animata e che ne abbiano il dominio esseri superiori all’uomo: essi sono stati creatori dell’universo; governano il destino degli uomini e li aiutano e li proteggono, se lo meritano, e li puniscono, se sono colpevoli; essi non sono soggetti alla sconfitta, alla malattia, alla vecchiaia e alla morte; essi sono divinità. In tal modo la realtà, fantasticamente rielaborata, risulta ingrandita e abbellita; in conseguenza si forma, nelle diverse regioni di ogni continente, in Europa come in Asia, in Africa come in America, un insieme di credenze, che, gelosamente custodite e tramandate oralmente di generazione in generazione, formano un patrimonio comune di leggende, costituiscono cioè i miti di ogni popolo. Questi miti, che intendono dare una spiegazione dei fenomeni naturali, sono detti miti naturalistici. * * * L’EPICA ANTICA A questi grandi antichissimi temi, con il succedersi degli avvenimenti, altri se ne accostano, perché ogni popolazione vuole mantenere vivo il ricordo di grandi imprese guerresche compiute dai propri antenati. Tali spedizioni militari, causate da desiderio di conquista o da rivalità commerciali o ancora da rappresaglie e vendette, risalgono bensì a una realtà storica, ma la fantasia, trascurando i motivi politici ed economici che sono stati la causa reale dell’impresa stessa, vi sostituisce elementi fantastici, storie di passioni travolgenti (amore, odio, gelosia, desiderio di avventura, di gloria, di potere…), che sollecitano l’immaginazione. A capo di tali imprese vi è spesso un eroe della stirpe, al quale il racconto fantasticato attribuisce virtù – e talvolta origini – divine. Eroe è parola greca, che significando appunto protettore, viene ad indicare un forte e valoroso combattente, un benefattore del popolo intero, di cui diventa il capo: per i suoi meriti viene divinizzato, cioè onorato come un dio e tale venerato. Si formano in tal modo i cosiddetti miti storici: alla loro base vi è un fatto storicamente avvenuto; i personaggi coinvolti sono esistiti realmente e vi presero parte; ma il fatto, accaduto da tempo, non è ricordato con esattezza e perciò la fantasia vi aggiunge particolari straordinari, facendo sì che l’immaginazione popolare, a lungo andare, renda eroico ciò che eroico non è stato. In tal modo i miti, quelli naturalistici, quelli degli eroi storici, sono tramandati di generazione in generazione, assumono cioè un vero e proprio valore religioso. Nei tempi più remoti essi hanno la forma di canti corali anonimi: la comunità intera si riunisce per cantarli quando parte per importanti spedizioni di guerra e di caccia, o si prepara per emigrare in altre terre, o per compiere importanti operazioni agricole e pastorali. I canti spesso sono accompagnati non solo dalla musica, ma anche da danze mimiche ( = movimenti e gesti) che raffigurano le azioni, e la loro esecuzione è di composimenti in versi. Il succedersi dei versi infatti costituisce per di sé stesso un discorso ritmato, con cadenze e pause fisse, che spontaneamente si accompagnano al canto e alla musica. Procedendo poi i tempi e formandosi società strutturate diversamente, gli antichissimi canti cominciano ad essere eseguiti da singoli cantori, detti nel mondo greco aedi (e altrove bardi, giullari…), che, vagando di città in città, dall’una all’altra reggia, li cantano accompagnandosi con il suono della cetra: naturalmente vi aggiungono episodi di invenzione personali, li rielaborano e li modificano. Altri cantori poi, detti, sempre con parola greca, rapsodi (termine che significa cucitori di canti), li aggregano attorno a un episodio fondamentale, dando loro spesso forma più stabile per mezzo della scrittura, li uniscono fra loro, in modo che si indichino raggruppamenti organici e ne formano un poema sostanzialmente unitario. Tale rievocazione dei miti forma, presso le varie comunità umane, l’oggetto della poesia detta epica. Epopea, epico sono parole che derivano anch’esse, come mito, da una parola greca (epos), che significa «narrazione», «racconto»; ogni popolo attinge dai propri miti il suo patrimonio epico. Caratteristica fondamentale del poema epico è quella di essere una narrazione, per lo più ampia e in versi, che espone in tono solenne antichi miti e avvenimenti memorabili e grandiosi, in cui hanno parte gli dèi e gli eroi. Naturalmente non nel corso degli stessi secoli né con la stessa uniformità nascono presso i singoli popoli le varie

Introduzione alla storia greca

Buongiorno e benvenuti alla prima lezione del primo volume di questo corso di storia, che sarà dedicata alla storia greca e sarà strutturato con una serie di lezioni introduttive dedicate alle civiltà arcaiche, e quindi alla civiltà minoica e alla civiltà micenea, per poi invece scendere nel dettaglio dal fiorire delle polis e del movimento coloniale, fino al periodo successivo alla morte di Alessandro Magno. Sarà un corso che coprirà diversi secoli di storia, diciamo dettagliatamente dall’VIII secolo al II secolo avanti Cristo, ed è pensato per la preparazione e l’approfondimento di interrogazioni e compiti in classe delle scuole secondarie, ma anche per un ripasso o per la preparazione di esami universitari. Il volume di riferimento che abbiamo utilizzato è quello del manuale di Storia Greca della professoressa Cinzia Bearzot, che è una delle massime greciste italiane. Verranno poi di volta in volta aggiunti altri contenuti presi da altre fonti, con particolare attenzione anche all’aspetto topografico, quindi numerose cartine che aiutano allo studio e all’approfondimento della storia. Prima di cominciare, però, ho pensato di fare una piccola introduzione riferita al concetto stesso di storia, ed è un aspetto che si concilia particolarmente con la storia greca. La storia, come molte altre cose che vedremo successivamente, è stata inventata in Grecia, precisamente nel V secolo, e la paternità del termine stesso storia si deve al titolo dell’opera di Erodoto, Le Storie (Ἱστορίαι), che vuol dire “le storie”, e che era il racconto e l’esposizione dei nove libri delle guerre persiane, che erano avvenute all’inizio del V secolo. Vedete gli estremi di nascita e di morte di Erodoto, quindi un paio di generazioni precedenti alla vita del primo storico. La cosa però interessante è approfondire e soffermarsi un secondo sull’etimologia della parola storia, che vuole letteralmente dire “esposizione della ricerca”. Al suo interno contiene, nonostante i numerosi cambiamenti morfologici che chi ha studiato greco ben conosce, la radice del verbo indoeuropeo “vedere”. Di conseguenza, possiamo dire che la storia, in origine (e vedremo poi come si modifica la disciplina), è in origine l’esposizione del racconto fatto dallo storico su un argomento da lui ritenuto meritevole di essere tramandato. Ora, questa invenzione del V secolo è un’invenzione di metodo e di concezione, perché non era certo la prima volta in cui l’uomo rifletteva sul proprio passato. Se ci pensiamo, le stesse tracce rupestri lasciate dall’uomo primitivo non erano altro che l’espressione della volontà di trasmettere ai posteri la traccia del proprio passaggio nel mondo, e quindi il segno di una riflessione sulla propria esistenza che è di fatto sempre passata, perché si riferisce a fatti della propria esistenza che sono già avvenuti. Quindi una prima riflessione sulla esperienza nel mondo. Nel mondo greco, però, prima del V secolo, la narrazione del passato dell’essere umano assumeva le forme orali del mito prima e dell’epica omerica successivamente. Il mito, in particolare, è stato definito da molti studiosi come un racconto polisemico, cioè un racconto che era in grado di veicolare per l’uomo dell’antica Grecia una serie diversa di significati. Senza scendere nel dettaglio, se noi proviamo a riportare alla mente alcuni miti di cui siamo a conoscenza, ci rendiamo conto di come i soggetti narrati fossero i più disparati, dalle origini del cosmo (miti cosmogonici) ai miti che potevano spiegare i fenomeni atmosferici e lo scandire delle stagioni e del tempo, così come la fondazione delle città, che fondeva un avvenimento realmente accaduto con una dimensione mitologica, quindi con la presenza del divino nella storia umana, fino ad arrivare a racconti che esprimevano i precetti di condotta morale, quindi racconti di contenuto etico che erano ritenuti universalmente validi per l’uomo greco delle epoche arcaiche. Il corpus poetico che, nel corso dell’VIII secolo, confluisce in quella che noi conosciamo come epica omerica, narrava come eventi storicamente avvenuti, come la guerra di Troia. La guerra di Troia è storicamente avvenuta, lo vedremo anche successivamente: le tracce archeologiche della città di Troia sono state scoperte da Heinrich Schliemann, un archeologo dilettante nel XIX secolo, studiando le descrizioni della città che trovava nei testi omerici, riuscì a individuare il sito dell’antica città di Troia. Alessandro Magno, anche questo lo vedremo, quando sbarca in Asia all’inizio della sua avventura di conquista dell’Impero Persiano, si reca alla tomba di Achille, che era appunto a Troia. Cos’era questo evento realmente accaduto? Era un racconto in cui si fondevano la dimensione della storia, come noi la conosciamo (quindi gli eventi realmente accaduti), con la dimensione mitologica, dove gli dèi e gli eroi si muovevano sullo stesso piano dell’uomo. Il grande cambiamento introdotto da Erodoto nel V secolo, che per la prima volta presentò i fatti e l’interpretazione di questi, è che, come dice la parola stessa, la storia è l’esposizione della ricerca fatta dallo storico, che interpreta i fatti su cui ha compiuto la sua ricerca. Per la prima volta, questa interpretazione non veniva fatta ricorrendo a spiegazioni soprannaturali o con il coinvolgimento della divinità, ma attraverso una spiegazione che possiamo definire immanente, cioè sul mero piano degli esseri umani. E questa è quella che noi possiamo considerare come la svolta epocale introdotta da Erodoto. Non bisogna però pensare che Erodoto applicasse in ogni passaggio della sua imponente opera in nove libri un moderno metodo storiografico, perché dobbiamo considerare la realtà in cui viveva. Abbiamo detto che si trovava due generazioni successive agli eventi narrati, e quindi la sua possibilità di consultare fonti era limitata, soprattutto perché si trattava di scrivere un’opera che era ricca di divagazioni etnografiche. Sappiamo che Erodoto viaggiò molto, quindi fece una ricerca autoptica (vista con i propri occhi), epigrafica e scultorea. Pensiamo alla colonna persiana che ancora oggi possiamo vedere al santuario di Delfi. Quindi aveva a disposizione delle fonti materiali per la ricostruzione dell’evento delle guerre persiane. Tuttavia, come lui stesso confessa, molte delle informazioni che ha utilizzato le ha acquisite per sentito dire. Quindi, non seguì quello che noi potremmo definire un metodo storiografico rigoroso. D’altro canto, probabilmente, anche questa era una necessità per uno

La Supergiùliola | di Marco Travaglio

di Marco Travaglio Tutti sanno con quale trasporto seguiamo Alessandro Giuli nella sua resistibile ascesa politica (dal Foglio al museo Maxxi al ministero della Cultura), accademica (l’esame di Teoria delle dottrine teologiche, 30 sine laude) e pure tricologica (i favoriti alla Asimov). Ma ci era sfuggita la sua audizione alla Camera, dove ha illustrato da par suo le linee guida della Cultura nell’Era Post-Sangiuliana: un prezioso scampolo di prosa recitata che dobbiamo al collega collezionista Felice Florio di Open ed è già reperto d’epoca. Acchittato con tanto di panciotto, il Giuli avverte gli astanti che sarà “un po’ teoretico”. In senso anafestico, direbbe il conte Lello Mascetti, suo spirito-guida. Infatti parte il tarapia tapioco con scappellamento a destra: “La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni”. Come fosse Antani, appunto. “Di fronte a questo cambiamento di paradigma – la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale – il rischio che si corre è duplice e speculare”. E cum fuochi fatui, peraltro: “L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese (sic, ndr) come minaccia”. Non sia mai. Qui il Giuli si fa una domanda: “Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?”. E, mentre i deputati superstiti trattengono il fiato, si dà subito una risposta: “No”. Ah, meno male, sennò erano cazzi. “Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo… non l’algoritmo… In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra culture scientifiche e umanistiche. Come in una disputa tra un fronte culturale progressista e uno conservatore. Dialettica errata”. E qual è quella giusta? “Si tratta di pensare Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi”: un bel frullato per “rifarsi a questa concezione circolare”. Alla parola “circolare”, torna in mente il vigile urbano di Amici miei, che tentava di multarli e gli altri per abuso di clacson, finché il Mascetti lo neutralizzò con la supercazzola brematurata. Ignaro del fatto che, un giorno, sarebbe diventato ministro. E avrebbe fatto rimpiangere Sangiuliano. Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2024

L’amico terrorista | di Marco Travaglio

di Marco Travaglio Chissà se le migliori gazzette d’Occidente noteranno la macabra comicità della nota emessa ieri dal Servizio segreto militare ucraino Gur insieme al video di un uomo che esplode per una bomba sotto la sua auto: “Il 4 ottobre, intorno alle 7 del mattino, nella zona temporaneamente occupata di Energodar, un’auto che trasportava un criminale di guerra, il ‘capo della sicurezza’ della centrale nucleare di Zaporizhzhia, Andriy Yuriyovych Korotkyy, è esplosa… Dopo la presa della centrale, Korotkyy ha collaborato volontariamente con gli invasori russi, ha fornito loro gli elenchi dei dipendenti della stazione con i loro dati personali, indicando i cittadini filoucraini. Ogni criminale di guerra riceverà una giusta punizione”. Più che una nota, un volantino di rivendicazione tipico delle organizzazioni terroristiche: solo che il Gur è un pilastro della celebre “democrazia” ucraina, addestrato, finanziato e armato da Usa, Nato e Ue per combattere al posto nostro il regime autocratico e terroristico di Russia in difesa del mondo libero e del diritto internazionale. La narrazione era già piuttosto ridicola fino all’altroieri, visti i dieci anni di guerra civile nel Donbass e soprattutto degli atti terroristici perpetrati dai Servizi e dagli squadroni della morte ucraini in giro per il mondo: l’esplosione dei gasdotti russo-tedeschi Nord Stream 1 e 2 a opera di un incursore ucraino ricercato da Berlino, fuggito in Polonia e di lì a Kiev su un’auto diplomatica dell’ambasciata a Varsavia; gli assassinii a Mosca di Darya Dugina, figlia di un filosofo filoputiniano (autobomba) e dell’ex deputato socialista ucraino Ilya Kiva, espulso e condannato per tradimento dopo aver criticato Zelensky anche per la tossicodipendenza (colpo alla testa); l’assassinio a San Pietroburgo del blogger ucraino filorusso Vladen Tatarsky (statuetta esplosiva); l’attentato allo scrittore e politico nazionalista russo Zakhar Prilepin, ferito e mandato in coma dall’esplosione della sua auto vicino Mosca; gli omicidi di giornalisti “propagandisti”, cioè sgraditi al regime, rivendicati a maggio dal capo del Gur Kyrylo Budanov; il sostegno a gruppi jihadisti legati a Isis e al Qaeda in Niger, Mali e Burkina Faso, vantato a luglio dal portavoce del Gur in funzione anti-Wagner. Ma i terroristi di Stato ucraini avevano sempre colpito oltre confine. Ora si fanno gli attentati in casa: anziché star lì a perder tempo per arrestare e processare i presunti collaborazionisti, li fanno esplodere direttamente. Fortuna che l’Ucraina sta con i Buoni e infatti entrerà nell’Ue e nella Nato, mentre la Russia capeggia i Cattivi e infatti il Parlamento europeo la definisce “Stato terrorista” e Putin ha un mandato di cattura internazionale. Sennò poi uno chissà cosa va a pensare. Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2024

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