Settembre 2024

Nordio e Meloni legalizzano l’abuso di potere

di Giuseppe Salamone Dicono di avere a cuore la giustizia, Giorgia Meloni un giorno sì e l’altro pure evoca il nome di Paolo Borsellino (che si rivolta nella tomba!) e poi con una riforma, quella voluta da Nordio, cancellano con un tratto di penna il reato di abuso d’ufficio. Mi manda fuori di testa questa vicenda per due motivi: il primo perché prende a badilate il cittadino comune e poi perché è stata fatta passare quasi in sordina grazie anche alla gentile collaborazione di gran parte dell’opposizione. Soprattutto quella targata PD/Calenda/Renzi che hanno avallato la “paura della firma degli amministratori” quando non c’entra assolutamente nulla! Hanno di fatto reso legale uno dei comportamenti più anti-meritocratici: l’abuso di potere. Sindaci e amministratori locali che favoriscono amici (e parlo da amministratore locale), concorsi truccati, carabinieri che abusano della loro autorità: tutto questo ora non è più penalmente perseguibile. L’abolizione dell’abuso d’ufficio è un vero colpo di spugna su migliaia di processi in corso, infatti se ne mandano al macero oltre 5000. Nelle università regna il caos, dove i “porci grossi” potranno pilotare concorsi e sistemare amici senza alcuna conseguenza. Nordio e Meloni hanno spalancato le porte a una giustizia che abbandona le vittime e protegge i potenti. Se fino a oggi si poteva denunciare, adesso non si può più perché non c’è un reato da contestare. Infatti molti processi verranno conclusi con la seguente frase: “il reato non sussiste”. Anche se il concorso è stato pilotato, anche se il Sindaco o il Rettore hanno favorito qualcuno e penalizzato qualcun’altro. Però hanno istituito il Ministero del Merito…

Giuseppe Conte: Io non scappo

La Commissione d’inchiesta sul Covid è stata costruita da questa maggioranza come strumento politico per colpire me e la squadra di governo che ha lavorato per salvare il Paese.

Palestinesi ingrati!

La Notizia, 19 settembre 2024. Caro Di Mizio, Con quale coraggio Israele stermina i palestinesi, donne, bambini, neonati, e poi accusa le vittime di essere “terroristi”? È un’infamia. Grazia Costa via email   Gentile lettrice, lei parla così perché non conosce i palestinesi. Dio solo sa cosa non farebbero per diffamare Israele. Per esempio, lo Stato ebraico blocca per mesi l’acqua potabile e il cibo a Gaza, toglie la corrente elettrica, distrugge tutti gli ospedali, impedisce l’ingresso di medicinali di base (e non parliamo di quelli non di base), e che cosa fanno i palestinesi in cambio? Si ammalano di poliomielite! Mostri! Ingrati! E ancora: appena atterra su Gaza un missile o una bombetta da mezza tonnellata, loro muoiono a centinaia. Lo fanno apposta. E i sopravvissuti accendono subito i telefonini per riprendere in video i bambini sfigurati, senza testa, senza braccia, senza gambe. Qualche giorno fa ho visto i soccorritori che estraevano dalle macerie una bambina di 11 anni uccisa da una bomba: mentre un uomo la tirava su, l’osso del braccio fuoriusciva dalla spalla, la testa ciondolava di qua e di là come in un pupazzo rotto, metà della faccia mancava (al suo posto c’era una caverna vuota) e i capelli intrisi di polvere di cemento sembravano finti come quelli di una bambola. E quei mostri dei palestinesi hanno fatto subito circolare il video su Whatsapp, Facebook, Messenger, Instagram, tutti strumenti di proprietà di un noto benefattore ebreo americano. Che canaglie! E lui, il povero benefattore, non riesce a bloccarli tutti. Ogni dieci video che cancella, uno gli sfugge e fa il giro del mondo. Ecco perché la gente odia lo Stato ebraico e i suoi governanti.

Scuola, ecco come viene costruita la «fabbrica» dei precari

di  Marta Camilla Foglia, Milena Gabanelli e Francesco Tortora Tutti i governi sono sempre stati d’accordo: il futuro di un Paese si costruisce sull’istruzione e quindi è indispensabile investire in una scuola che accompagni gli studenti verso la conoscenza e premi il merito. Ma si fa il contrario: rispetto alla media dei Paesi Ue siamo sotto quasi di un punto di Pil. E ogni anno all’apertura delle scuole scoppia puntuale la crisi degli insegnanti precari: dalle primarie alle superiori mancano i docenti. A pagare il prezzo sono gli studenti, ai quali è negata la possibilità di avere riferimenti fissi nel percorso di crescita. Non ci si mette d’accordo neppure sui numeri. Sul portale unico della scuola si legge che su 943 mila docenti in servizio sono 234 mila quelli con un contratto a termine. I sindacati delineano un quadro ancora più fosco: «Quest’anno – taglia corto Flc Cgil – avremo ben 250 mila precari». Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara bolla come «fake news» gli allarmi e riduce le cattedre vacanti «a 165 mila». Punto uno: 165 mila è comunque un numero enorme. Punto due: quel numero il ministro lo ricava probabilmente contando solo le cattedre coperte da supplenti con incarichi annuali, escludendo dal conteggio i precari con contratti non a orario pieno. E tutto questo è in contrasto con le promesse fatte nell’ultimo decennio. In Italia gli insegnanti restano precari, in media, fino a 45 anni e sono tra i più anziani d’Europa: oltre metà del corpo docente ha più di 50 anni, contro il 37% della media dell’area Ocse. La procedura d’infrazione Dal 2019 siamo sotto procedura di infrazione della Ue per uso prolungato e sistematico dei contratti a tempo determinato, in violazione delle direttive sul lavoro che impongono la stabilizzazione dopo 3 anni di servizio. Per tentare di archiviare la procedura il governo Meloni a inizio settembre ha inserito nel decreto «Salva-infrazioni» un indennizzo da 4 a 24 mesi a favore dei precari storici della pubblica amministrazione (qui art.12). Se questa «toppa» sarà accettata a Bruxelles è tutto da vedere. Ma come abbiamo fatto ad accumulare un numero così alto di precari? Per capirlo bisogna analizzare il sistema italiano di assunzione dei professori. Sembra studiato apposta per sconsigliare questa professione. Come ostacolare l’aspirante prof L’assunzione a tempo indeterminato passa dal concorso pubblico che può essere: a) Ordinario: aperto a chi possiede la laurea magistrale, dai 30 ai 60 Crediti Formativi Universitari (CFU), e un tirocinio pratico. b) Straordinario: riservato a docenti con almeno 3 anni di servizio e l’abilitazione all’insegnamento. Gli ultimi concorsi straordinari sono stati fatti nel 2021 con la ministra Azzolina. Chi supera i concorsi entra in una graduatoria a scorrimento. Le nomine sono su base nazionale quindi se accetti di insegnare nelle regioni del Nord, dove ci sono molti più posti disponibili, è più facile ottenere la cattedra. E poi dipende da «cosa» insegni. Un insegnante di matematica o di inglese avrà meno difficoltà ad avere il posto fisso rispetto a un collega di musica o di educazione fisica, perché dovendo coprire un numero maggiore di ore su tutte le classi, servono più docenti. c) Un altro modo per essere assunti è far parte delle «Graduatorie ad esaurimento» lista di precari storici con alle spalle decenni di insegnamento, chiusa nel 2007. E poi ci sono le Graduatorie che servono a tappare i buchi: quelle Provinciali (GPS) utilizzate per assegnare le supplenze annuali (un anno qui, e uno là) e le Graduatorie d’Istituto per le supplenze brevi (un mese qui, e tre settimane là). Il Pnrr Scuola e i nuovi concorsi Per ridurre il precariato, il governo in accordo con la Commissione europea ha introdotto il Decreto PNRR Scuola che ha fissato l’obiettivo di assumere 70 mila docenti a tempo indeterminato entro giugno 2026. Però la procedura è quella di indire nuovi concorsi, aperti a tutti i laureati e precari. Il primo è stato fatto a fine 2023, e da settembre a fine dicembre saranno immessi in ruolo 44 mila docenti. Tra i vincitori però solo chi ha già l’abilitazione ottiene subito la cattedra a tempo indeterminato. Chi non ce l’ha, è assunto a tempo determinato con l’obbligo di conseguire entro un anno i 30 o 60 crediti formativi universitari richiesti e di svolgere un tirocinio formativo, anche coloro che a scuola insegnano già da diversi anni. E chi fornisce le abilitazioni? Le università tradizionali e telematiche, e costano fino a 2.500 euro. Più altri 150 euro per l’esame finale. Chi alla fine rispetta i tempi ottiene finalmente il posto fisso, chi invece non ce la fa, è fuori. Per l’inizio del nuovo anno scolastico, a fronte dei 64.156 posti disponibili, il Ministero ha autorizzato solo 45.124 nuove assunzioni. Il governo infatti ha deciso di accantonare 18.561 posti per un secondo concorso Pnrr che sarà bandito tra ottobre e novembre. Significa che i vincitori dei concorsi Pnrr monopolizzeranno le immissioni in ruolo di quest’anno. E qui scoppia il finimondo perché il decreto ministeriale n. 158 parla chiaro: priorità di assunzione per gli insegnanti delle graduatorie a esaurimento (la famosa lista chiusa nel 2007), per chi ha superato i precedenti concorsi del 2016, 2018 e 2020 e sta ancora aspettando, e infine i vincitori del concorso 2023. Ma cosa c’è che non va? Un dettaglio non da poco, e riguarda i 30 mila insegnanti risultati idonei al Concorso Ordinario 2020, che sono già abilitati, e dovevano essere immessi in ruolo proprio quest’anno. Ebbene questi 30 mila si vedono scavalcati dai vincitori del concorso 2023 e passeranno in coda. Motivo? Chi ha passato il concorso Pnrr deve essere assunto subito altrimenti si rischia di perdere l’ultima rata da 24 miliardi del piano europeo. La carenza degli insegnanti al Nord Questo caos si innesta su una carenza cronica di insegnanti al Nord, perché il costo della vita mal si adatta a uno stipendio di ingresso per un professore delle superiori di 1.460 euro, con la prospettiva di restare precario per qualche decennio. Resta alta invece l’offerta al Sud: spesso gli insegnanti preferiscono rimanere supplenti piuttosto che prendere un contratto stabile al Nord dove si è liberata una cattedra. E chi sceglie di spostarsi dopo tre anni, può chiedere il trasferimento. Criteri prioritari per avere il cambio di sede sono il ricongiungimento familiare o i benefici

Spese militari in aumento, italiani in difficoltà: la democrazia funziona così

di Giuseppe Salamone Esattamente mentre Tajani annuncia l’invio di un altro sistema missilistico Samp-T per Zelensky del costo di circa un miliardo di euro, crolla il sostegno degli italiani per quanto riguarda gli aiuti militari da spedire a Zelensky. Dopo oltre due anni il consenso degli italiani sugli aiuti militari a Kiev è in forte calo. Secondo un sondaggio fatto da Demos, solo il 29% degli italiani è favorevole al sostegno militare. Lo scorso anno era al 47% (almeno così ci raccontavano) mentre due anni fa ci dicevano fosse ancora più alto. La realtà è che è sempre stato basso il consenso per fare della Costituzione carta straccia, solo che adesso non si può più nascondere il sole con un dito. Altro dato importantissimo arriva invece sulla questione relativa all’aumento delle spese militari, dove solamente il 19% degli italiani è favorevole. Quindi oltre otto italiani su dieci non sono d’accordo sul buttare soldi per ingrassare il complesso militare a stelle e strisce e per tutelare i loro interessi attraverso le bombe. L’anno scorso erano d’accordo il 33% degli italiani. Questa è la dimostrazione del malessere che affligge l’Italia, perché da nord a sud l’effetto della guerra per procura tra Nato e Russia e le conseguenti sanzioni suicide hanno portato al collasso un intero continente, tra cui in prima fila l’Italia. C’è gente che non riesce a fare la spesa e piccole aziende che abbassano a migliaia al giorno la saracinesca. Ma a reti unificate si narra un miracolo economico. Incredibile! A fronte di tutto ciò la politica del governo e di buona parte delle opposizioni con in prima fila il PD che sembra essere più realista del Re, prevede armi a Kiev senza fine e aumento delle spese militari. Addirittura tra le fila dei “democratici” c’è chi muore dalla voglia di bombardare la Russia con armi italiane… Dite la verità: non è spettacolare questa democrazia che lor signori dicono di voler difendere?

Hamas, il grande inganno

Hamas è un partito politico-confessionale, al quale si affianca un’ala militare, una formazione di partigiani che combatte contro la potenza occupante, cioè Israele.

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