Agosto 2024

Censura su comando: come Telegram sfida il monopolio della silenziatura di Israele

Nell’arena digitale, Telegram si è rivelato il bastione meno incline a cedere alle pressioni, sfidando lo status quo imposto da alleati più compliant come Google e Meta. Mentre quest’ultimi hanno prontamente risposto a decine di migliaia di richieste israeliane di censura, Telegram ha osato resistere, provocando così l’ira di Israele. A seguito dell’hacking alla Knesset, il capo di Telegram è stato arrestato in circostanze sospette, e la narrazione costruita intorno all’accaduto suona riciclata e stantia. Da un lato, abbiamo i giganti della tech come Zuckerberg, sotto il fuoco incrociato per la gestione scadente della sicurezza dei minori, ma misteriosamente immuni da conseguenze legali serie. Dall’altro, la “libera” Telegram che viene punita per non piegarsi. I cosiddetti liberali ci predicano la sacralità delle regole del gioco, ma solo quando fa comodo. Ecco la vera faccia della censura e dei doppi standard: un teatro di ipocrisia politica dove la libertà di parola è moneta di scambio, e il vero crimine sembra essere non tanto violare la privacy, ma rifiutarsi di conformarsi. * * * di Giuseppe Salamone Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. In ogni caso è abbastanza indicativo il dibattito apertosi in Israele dopo che alcuni hacker hanno pubblicato migliaia di documenti classificati dello stato terrorista di Israele su Telegram. Haaretz in un articolo del 21 agosto scorso titolava così: “Telegram si è dimostrato una sfida enorme per Israele dall’inizio della guerra. Mentre molte aziende tecnologiche hanno semplificato i meccanismi attraverso cui gli stati possono contattarle, Telegram è considerata la meno cooperativa di tutte.” Qualche giorno fa dopo l’hacking ai server della Knesset (parlamento israeliano), i server della Knesset hanno inviato dei messaggi che recitavano testualmente: “Arriverà una risposta e verrà presa una decisione, forse stasera, forse domani”. Da qui, sarà un caso per carità, ma qualche giorno dopo verrà arrestato il capo di Telegram. Ora ovviamente caleranno una narrazione ad hoc per questo messaggio, magari dicendo che lo hanno inviato direttamente gli hacker. Un film già visto e rivisto, soprattutto con Israele… Inoltre è bene sottolineare che a Durov vengono contestate alcune cose che potrebbero essere contestate tranquillamente anche a Zuckerberg. Ad esempio a gennaio 2024 The Guardian scriveva così: “I Meta-documenti mostrano che 100.000 bambini vengono molestati sessualmente ogni giorno sulle sue piattaforme”. Altra cosa rilevante sta nel fatto che il giornale riportava nel sottotitolo la preoccupazione per una risposta “trascurabile” da parte di Meta. A maggio 2024 invece la CBNC titolava: “Meta colpita da un’indagine sulla sicurezza dei minori ai sensi della legge tecnologica dell’UE”. Perché non emettere quindi un mandato di cattura anche per Zuckerberg? È abbastanza facile rispondere a questa domanda, ma la risposta la possiamo trovare sempre nell’articolo sopra citato di Haaretz: “Fonti israeliane spiegano che Google o Meta rimuoveranno una pagina… Su Telegram, i contenuti non possono essere rimossi con tali argomenti… Il Ministero della Giustizia israeliano ha inviato a Facebook oltre 40.000 richieste di rimozione di “contenuti illegali” con esito positivo… si tratta di contenuti illegali secondo gli standard occidentali. Anche TikTok ha rimosso oltre 20.000 post segnalati da Israele. Su Telegram, quel numero è di poco superiore a 1.300.” Nel 2018, quando Telegram venne bloccato da una sentenza di un tribunale russo a seguito dell’entrata in vigore di una legge che imponeva la conservazione delle corrispondenze per sei mesi e la consegna delle chiavi per decrittografarle, ci furono decine di organizzazioni occidentali per i diritti umani a gridare allo scandalo. Tutti i giornali della propaganda portarono avanti la classica narrazione della libertà di stampa fatta a pezzi, della giustizia a servizio del potere politico e fatto appelli all’ONU, al Consiglio d’Europa, all’OSCE eccetera eccetera. Dove sono oggi visto che sta succedendo molto di peggio nel “buono e democratico occidente”? Dove sono quei sottosviluppati che si fanno chiamare “liberali” solo perché “siamo degli ipocriti intolleranti suprematisti censori pieni di doppi standard” era troppo lungo? Gli stessi liberali che quando a censurare è Meta ci dicono essere delle piattaforme private e quindi se non ci piace di abbandonarle. Mentre quando arrestano il capo di una piattaforma privata che ti consente di parlare ed esprimerti liberamente senza censura e sbugiardare la propaganda nazista israeliana e occidentale, ti dicono che anche se è una piattaforma privata deve sottostare a delle regole. Esattamente quali regole? Quelle della censura e dei doppi standard? SIETE PERICOLOSI. MOLTO PERICOLOSI!

Il tornaconto degli Usa nella invasione di Kursk

di Elena Basile L’approccio analitico agli eventi porta a sottolinearne la complessità, l’entrata in gioco di fattori molteplici. La sintesi, al contrario, nella ricostruzione storica coglie l’essenziale. Non sono una stratega militare e, più che le logiche autonome e i minimi spazi, mi interessa il nocciolo dei problemi. Mi è difficile quindi dare all’Ucraina una soggettività indipendente dalla volontà della Cia e degli altri attori del Blob statunitense. Kiev è la capitale di un Paese distrutto, che sopravvive economicamente e militarmente grazie agli aiuti occidentali. La sua classe dirigente è asservita agli interessi statunitensi e passerà alla storia per avere venduto il suo popolo, avere massacrato una generazione di giovani, i membri della gloriosa resistenza nazionale (secondo i giornali del mainstream ) che ora fuggono all’estero, si nascondono in casa, si rompono le ossa per poter non andare al macello. La guerra alla Russia non è più nemmeno una guerra per procura: diviene gradualmente uno scontro tra Nato e Mosca. I mesi precedenti le elezioni statunitensi sono i più pericolosi perché i Democratici devono esibire agli elettori qualche scalpo per poter giustificare gli enormi finanziamenti a spese del contribuente riversati in una guerra suicida. L’operazione di Kursk, come sta inevitabilmente emergendo, è stata realizzata con armi e mercenari occidentali e con l’intelligence angloamericana. Lo scopo è sempre lo stesso. Sin dall’inizio gli strateghi del Blob erano consapevoli che la guerra russo-ucraina, se la Nato non avesse scelto la vera competizione con truppe e conquista dei cieli, sarebbe volta a favore di Mosca. L’obiettivo era tuttavia la destabilizzazione del regime, la sua caduta. A Kursk, più che una battaglia militare, si conduce un attacco terroristico contro i civili russi. Portarli in ostaggio in Ucraina o costringere Mosca a sacrificarli per sterminare i soldati ucraini affinché il popolo russo assaggi le ferite della guerra è il fine della strategia occidentale, non solo ucraina. La Russia, al contrario, ha finora scelto la stabilità, è avanzata lentamente nonostante la netta superiorità di uomini, munizioni e armamenti perché tutto proceda all’interno della Russia come se la guerra avvenisse in una dimensione parallela, preoccupandosi persino di non spargere troppo sangue fratello. Come abbiamo ripetuto, la Corte Penale Internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di arresto per Putin che conduce battaglie militari contro obiettivi militari più che civili, mentre non ha potuto fare la stessa cosa per il criminale di guerra Netanyahu che massacra ancora oggi donne e bambini a Gaza. Questo è l’“Ordine internazionale basato sulle regole” che le più stimate cariche istituzionali europee raccomandano di difendere nella guerra in Ucraina. Di fatto, come il “resto del mondo” sa, si tratta soltanto di una pax americana basata su doppi standard e normative create e utilizzate a beneficio degli interessi del cosiddetto Occidente collettivo. La tattica prevale sulla strategia, per cui non è rilevante se a Kursk alla fine i russi prevarranno con un massacro di militari ucraini e di civili russi: è invece essenziale che sui giornali più letti si possa parlare di sorpresa di Mosca, di inefficienze russe, del valore ucraino al fine di inorgoglire i bellicisti democratici (in Usa come in Europa) e il loro elettorato. Mi viene da sorridere quando ascolto gli interventi di ex generali, personalmente conosciuti, che si affannano a dimostrare come la difesa dell’Ucraina e l’attacco al territorio russo siano due facce della stessa medaglia. Chissà come mai invece, quando vi era a Mosca un rivale strategico e ideologico, le guerre tra Usa e Urss nei vari teatri del mondo non hanno mai preso in considerazione un attacco militare sui reciproci territori. Dal 2002, con l’uscita unilaterale di George W. Bush dal trattato ABM contro la proliferazione di armi nucleari offensive, il Blob ha perseguito la possibilità del primo attacco nucleare, evitando i danni “maggiori” per gli occidentali. L’obiettivo di una destabilizzazione della Russia potenza nucleare è dato per scontato. Non viene analizzato nelle sue conseguenze disastrose. Smantellare la Federazione che possiede 6000 testate nucleari o sostituire Putin con un falco? Domande inutili. Gli strateghi del Blob hanno interessi a breve termine da servire, altrimenti non sarebbero stati gli artefici dei disastri in Afghanistan, Iraq e Libia. I benefici immediati sono molteplici, in termini di campagna elettorale, di iniezioni di liquidità e guadagni delle oligarchie delle armi e dell’energia. La destabilizzazione delle aree del mondo, confine orientale dell’Europa o Medio Oriente, è una finalità in sé. Non prevede approfondimenti di lungo termine. Kursk va bene così, indipendentemente dall’esito finale. Le vittime, si sa, hanno sempre avuto nella storia una loro utilità. Il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2024

Von der Leyen

La resistenza alla menzogna: l’importanza degli “archivi del male”

Viviamo in un’epoca di degrado della vita pubblica, in cui il sistema occidentale, ormai in declino, è caratterizzato da oligarchia, plutocrazia e nichilismo. Non possiamo cambiare la nostra posizione storica, ma possiamo prepararci per il “dopo”, quando il sistema collasserà. Questo richiede uno sforzo sia collettivo che individuale. Sul piano personale, un’azione fondamentale è la documentazione delle menzogne e delle contraddizioni perpetrate dalle attuali classi dirigenti, creando “archivi del male” che preservino la memoria storica di tali falsità. Conservare queste testimonianze è essenziale per mantenere l’equilibrio e la direzione in un mondo sempre più caotico. * * * di Andrea Zhok Uno dei problemi fondamentali che si pongono in un’epoca di degrado della vita pubblica, e di generale decadenza, come la nostra è “che fare?” Ciò che non possiamo modificare è la nostra sfortunata collocazione in Occidente, in una fase storica in cui la spinta propulsiva della modernità occidentale è esaurita e gli squilibri costitutivi del sistema (oligarchismo, plutocrazia, tecnocrazia, nichilismo, ecc.) stanno dilagando, senza più alcuna compensazione. Ciò che possiamo fare è preparare l’inevitabile “dopo”, di un sistema al collasso, caotico e privo di ogni direzione. Molte cose sono necessarie per preparare il “dopo”. Alcune sono complesse, perché richiedono di remare fortemente contro corrente: in un’epoca che coltiva frammentazione e individualismo, per costituirsi in organizzazioni politiche funzionali è necessario remare controcorrente a lungo. La spinta umorale cui la nostra epoca naturalmente ci dispone è quella verso la diffidenza, il rancore, la permalosità, la ricerca più del contingente che divide che dell’essenziale che unisce. Sconfiggere questa tendenza e creare le condizioni per un’”amicizia politica” (in senso aristotelico) è necessario, ma naturalmente anche molto difficile. Alcune operazioni sono però più semplici, e possono essere gestite a livello individuale. Un’operazione fondamentale è la documentazione e la costruzione di “archivi del male”. Mi spiego. La scommessa delle nostre classi dirigenti, degli oligarchi che detengono il potere reale e dei politici che lo implementano, recitando sul palcoscenico pubblico, è di riuscire a imporre la loro rappresentazione del mondo nonostante la sua insostenibilità, nonostante la sua conclamata contraddittorietà e falsità. Lo fanno mentendo sistematicamente, rinforzandosi a vicenda con menzogne convergenti, ripetendole ossessivamente, tacendo strategicamente tutto ciò che le contraddirebbe e delegittimando tutte le voci dissenzienti o dissonanti. L’imposizione della menzogna è il loro trionfo e non credo che nessuna epoca storica sia stata più esplicita e sfacciata della presente nel portare a compimento tale progetto. La potenza di fuoco dei costruttori di menzogne è straordinaria, rinforzata dall’odierna capacità tecnologica. Ma più ancora della grande potenza di fuoco, a sostegno di questa tendenza sta un fattore culturale di fondo: la cultura di cui le odierne classi dirigenti occidentali sono latrici è una cultura radicalmente relativista e nichilista, dove si dà per scontata l’inesistenza di valori obiettivi e di forme naturali essenziali. Essi si muovono con perfetto agio nella menzogna perché da tempo non credono al valore della verità né all’autonomia della realtà. Alla domanda nietzscheana “Perché la verità e non piuttosto la menzogna*?” si sono risposti in modo netto: “Purché la menzogna mi serva, vita eterna alla menzogna.” Essi possono mentire e contraddirsi, possono utilizzare doppi e tripli standard, possono modificare le proprie narrazioni in corsa più e più volte, cancellando le incongruenze senza batter ciglio, perché fondamentalmente non credono in partenza né al valore della verità, né all’autonomia della realtà (che si riduce a percezione corrente della realtà). Nel lungo periodo l’autonomia della realtà finirà comunque per imporre le proprie ragioni e il valore della verità verrà reistituito, ma questo può accadere in molte forme, alcune assai sgradevoli per noi. Una di queste, a mio avviso oggi la più probabile, è che l’intera millenaria cultura europea venga coinvolta nel tracollo della modernità occidentale, venga travolta nell’irrilevanza e sepolta. E non bisogna pensare che la caduta in discredito di una grande cultura storica sia un evento “meramente culturale”. Con il perdere di rilievo e peso di questa cultura perderanno di peso e rilievo anche i relativi luoghi, le forme di vita, i territori, le persone che vi abitano. Tra le poche cose che sul piano personale possono essere fatte, una importante forma di resistenza è rappresentata dalla costruzione di archivi che conservino nel tempo la memoria delle contraddizioni, contorsioni e cancellazioni che l’apparato oggi dominante mette in campo a ciclo continuo. È importante conservare e ordinare in maniera consultabile e reperibile la memoria delle menzogne, perché le menzogne hanno la fondamentale caratteristica di cadere in contraddizione nel tempo. Chi governa la narrazione dominante e gli apparati mediatici conta sulla propria potenza di fuoco, capace di far sprofondare nell’oblio ogni menzogna passata coprendola con una nuova menzogna più sfacciata della precedente. Per non essere travolti, niente è più importante che la conservazione dell’equilibrio e della direzione attraverso la memoria delle scosse prodotte per farci perdere equilibrio e orientamento. Questo oggi può essere fatto anche a livello individuale, ed è importante che sia fatto. * * * NOTE * La domanda nietzscheana “Perché la verità e non piuttosto la menzogna?” riflette una delle questioni più profonde e provocatorie sollevate da Friedrich Nietzsche nella sua filosofia. Nietzsche mette in discussione il valore tradizionale della verità, che per secoli è stata considerata un fine ultimo e un valore assoluto. Egli invita a considerare se la verità sia davvero superiore alla menzogna o se, al contrario, la menzogna possa avere un valore pratico maggiore, specialmente in termini di potere, sopravvivenza e influenza. Per Nietzsche, la verità non è qualcosa di assoluto o oggettivo, ma piuttosto una costruzione umana, legata ai contesti storici, culturali e sociali. La sua domanda sfida l’idea che la verità abbia un valore intrinseco e pone l’accento sul fatto che spesso la menzogna può essere più utile o più potente, specialmente quando serve i nostri bisogni e desideri. Questa provocazione non implica necessariamente un rifiuto della verità, ma piuttosto un invito a riflettere criticamente su perché e come attribuiamo valore a certi concetti rispetto ad altri. Nietzsche esplora l’idea che la verità possa essere un costrutto culturale

L'operazione ucraina nel Kursk

Burattini e burattinai

Zelensky invade Kursk per sabotare i negoziati di pace, servendo gli interessi della lobby delle armi, mentre la diplomazia resta assente in Occidente.

Lo ius scholae come via per riconoscere i diritti dei giovani cresciuti in Italia

La recente discussione sulla cittadinanza italiana, alimentata dai successi olimpici e dalle polemiche razziste, evidenzia la necessità di riformare l’acquisizione della cittadinanza per gli stranieri nati e cresciuti in Italia. Attualmente, il sistema è basato sullo ius sanguinis, ma molti, inclusi il Movimento 5 Stelle, propongono lo ius scholae, che lega la cittadinanza al completamento di un ciclo scolastico. Questa proposta, più equilibrata dello ius soli, ha guadagnato consensi e potrebbe finalmente riconoscere i diritti di tanti giovani che si sentono italiani. * * * di Giuseppe Conte In questi giorni, sull’onda dei trionfi azzurri alle Olimpiadi di Parigi e delle becere polemiche razziste che ne sono seguite, si è riacceso il dibattito sull’acquisto della cittadinanza italiana da parte di stranieri che vivono nel nostro Paese. In realtà, sono anni che se ne parla perché ci sono tante ragazze e tanti ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia o che comunque vivono qui da anni, parlano italiano, si sentono italiani a tutti gli effetti, ma non hanno i nostri stessi diritti perché il nostro ordinamento giuridico li considera «stranieri». La politica ha il dovere di affrontare questa questione responsabilmente, tenendo a bada reazioni emotive o pregiudiziali ideologiche. Riassumiamo lo «stato dell’arte». Oggi in Italia la cittadinanza si ottiene principalmente in base allo ius sanguinis, cioè se si nasce da cittadini italiani o se da essi si viene adottati. Lo straniero maggiorenne che pure si sente «italiano» di fatto incontra enormi difficoltà e molteplici paletti: ha la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana solo se risiede nel nostro Paese da almeno 10 anni e se dimostra di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali e di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica. I minorenni di origine straniera, poi, pur se nati e cresciuti in Italia, non possono vantare il possesso di un documento che attesti la loro «italianità». Questi ragazzi possono presentare la richiesta per diventare cittadini italiani entro un anno dal compimento del diciottesimo anno d’età solo se hanno risieduto legalmente e senza interruzioni nel nostro Paese sino al raggiungimento della maggiore età. I partiti di destra, da FdI alla Lega, di fronte a questi problemi preferiscono mettere la testa sotto la sabbia, inclini come sono ad affrontare il tema dell’immigrazione in base a schemi ideologici e propagandistici e perlopiù sotto la limitativa lente dell’approccio securitario legato all’ordine pubblico. I partiti di sinistra, dal Pd ad Avs, propongono una riforma che contempla l’acquisto della cittadinanza italiana in base allo ius soli, per il solo fatto di nascere su suolo italiano. Non possiamo rimanere più indifferenti, come vorrebbero i partiti di destra. Nell’anno scolastico 2021/2022 gli studenti privi della cittadinanza italiana erano all’incirca 872.360, pari a oltre il 10% degli iscritti nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie. La formazione scolastica rimane un potente fattore di integrazione, ma la privazione della cittadinanza rischia di alimentare stereotipi e rappresentazioni sociali e culturali costruite sulla «diversità», con il risultato di depotenziare il processo di condivisione di principi e valori fondamentali su cui si regge la nostra comunità nazionale. Ma non appare convincente neppure una riforma basata sullo ius soli come proposto dai partiti di sinistra. Una riforma del genere produrrebbe l’effetto di attribuire la cittadinanza a chi, anche occasionalmente, nasce su suolo italiano, senza alcuna considerazione per i necessari processi di integrazione. Il sistema complessivo ne uscirebbe completamente squilibrato. Ci ritroveremmo, infatti, a cumulare i due diversi modi di acquisto della cittadinanza (ius sanguinis e ius soli), mentre di solito gli ordinamenti giuridici — per mantenere il giusto equilibrio — privilegiano l’uno o l’altro, salvo gli opportuni contemperamenti. È per queste ragioni che il Movimento 5 Stelle da tempo si batte per l’introduzione di una riforma basata su un diverso criterio: lo ius scholae, che condiziona l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un intero ciclo di studi per quei bambini nati o arrivati in Italia entro i 12 anni d’età. Sin dalla scorsa legislatura abbiamo presentato una proposta di riforma della cittadinanza ispirata a questa soluzione, che abbiamo ripresentato in questa legislatura. Il dibattito di questi giorni segnala aperture verso una simile soluzione anche da parte di Forza Italia, di Azione e di varie forze sociali e sindacali. La soluzione dello ius soli — voluta dal Pd e da altri partiti di sinistra — non gode del necessario consenso parlamentare, ma sarebbe irragionevole per questi partiti rifiutare la soluzione meno radicale, ma più equilibrata dello ius scholae. Insomma, ci sono i numeri per finalizzare questa proposta di legge in Parlamento e riconoscere i diritti di tanti bambini e ragazzi che sono nati o comunque sono cresciuti in Italia, che studiano e giocano con i nostri figli e si sentono di fatto «italiani». In materia di diritti non ha alcun senso fermarsi alla contrapposizione ideologica o invocare schieramenti secondo la logica binaria maggioranza/opposizione. Con il Movimento 5 Stelle, alla ripresa dei lavori parlamentari proveremo a spingere perchè si compia questo passo avanti, questo grande gesto di civiltà, sperando che il dibattito di questi giorni non rimanga solo l’eco di un flatus vocis dovuto alla calura estiva.

Gli atlantonti

Per capire in quale trappola diabolica s’è cacciata l’Europa, basta unire i puntini delle ultime notizie, che sembrano fatte apposta per gli atlantonti che non vogliono vedere.

Osteria di Ferragosto

di Marco Travaglio – A Ferragosto, Nordio sfodera l’ennesimo “piano” per le carceri, riproponendo soluzioni già fallite. Ma tranquilli, stavolta risolverà tutto, o forse no.

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